Sciopero Alitalia a Fiumicino. Foto LaPresse/Carlo Lannutti

Il referendum Alitalia ha umiliato la rappresentanza sindacale

Raffaele Bonanni*

Occorre rimediare, scrive Raffaele Bonanni. E bisogna fare presto per evitare il totale disfacimento dell’azienda e con essa migliaia di posti di lavoro

Un accadimento davvero incomprensibile, quello capitato ad Alitalia con il ricorso al referendum tra i lavoratori, per decidere se accettare l’accordo sottoscritto tra l’azienda ed il Sindacato.

   

L’accordo certamente ha riguardato elementi spinosi per il taglio dell’occupazione e del salario, ma è notorio che l’azienda non poteva continuare a operare con perdite di svariate decine di milioni di euro mensili, che avrebbero ancor più appesantito un bilancio già in rosso dall’inizio dell’esperienza con gli arabi. In un’altra era si sarebbero trovati soldi pubblici a danno dei contribuenti, ma ora sia per le regole della Unione europea, sia per la penuria di risorse pubbliche, sia per l'ostilità giustificata della opinione dei cittadini a buttare soldi nel pozzo di S. Patrizio dell’Alitalia, non si avevano altre scelte che la partecipazione attraverso un accordo sindacale oneroso, da affiancare alla ricapitalizzazione per circa 2 miliardi di euro a carico degli azionisti. Era scontato che la soluzione del referendum avrebbe prestato il fianco a coloro che soffiando sull’esasperazione dei lavoratori avrebbero creato una confusione, peraltro neanche contrastata da una sufficiente informazione attivata nelle assemblee dei lavoratori. Troppe sono state nel tempo le docce scozzesi subite dai dipendenti, una discussione profonda sulla condizione relativa alla instabilità economica-operativa della società di volo nostrana e del contesto in cui si trova avrebbe molto giovato. Comunque l'accordo sindacale vedeva tutte le centrali confederali d’accordo nello scegliere il male minore, pur di mantenere in piedi Alitalia con ricapitalizzazione, e nel programmare più rotte intercontinentali; unico modo per garantire ai conti di rientrare. Allora perché il referendum, rischiando la inedita débâcle della credibilità sindacale? Si è arrivati così, ed in fretta, a respingere un accordo già siglato con una percentuale di dissensi mai vista, costringendo il volo italiano nella più buia incertezza.

   

In questi casi chi deve prendersi le responsabilità lo deve fare senza indugio, pena guai ancora più grossi di quelli che già si hanno. Qualcuno mette in analogia la vicenda Fiat con quella Alitalia, ma è un paragone improprio. Nella vicenda sindacale della azienda automobilistica, la Fiom-Cgil – con grande seguito negli opifici della società – era contraria a ogni nuova soluzione che compromettesse gli equilibri contrattuali presenti, e gli investitori volevano invece certezze che i loro denari non venissero bruciati dalla conflittualità fine a se stessa e dalla impossibilità di affiancare all’utilizzo dei nuovi e costosi impianti produttivi, una adeguata organizzazione del lavoro. Il referendum a quel punto non era evitabile. Ma non è così nel volo. Infatti alla volontà manifestata dai soci di Alitalia di nuovi investimenti, alla condizione di sacrifici dei lavoratori, a trovato le organizzazioni sindacali disponibili a siglare l’accordo, ma dovevano essere conseguenti fino in fondo . L’alternativa al referendum era casomai fare approvare l’accordo agli iscritti dei Sindacati firmatari. L’idea ricorrente da parte di una certa cultura sociale e politica, che alle decisioni devono poter partecipare iscritti e non. Questa è una concezione errata e nociva della democrazia. Le organizzazioni sindacali sono interlocutrici e siedono al tavolo, proprio perché sono qualificate dalla rappresentanza che deriva loro da criteri di rappresentatività riconosciute. Quando è il caso di fare verifiche di consenso, vanno fatte nel proprio ambito associativo, quello delle rispettive organizzazioni. In tutti i sistemi sociali dei paesi Ocse, è scontato che i lavoratori non organizzati per loro scelta, sono privati di rappresentanza , in quanto loro stessi non aderendo ad alcuna organizzazione si pongono fuori dal campo della responsabilità. Mi fa specie che chi non proviene da concezioni plebiscitarie sindacali, non abbia nulla da eccepire su una vicenda che incrina fortemente la credibilità della tenuta sindacale e spinge in un “cul de sac” la compagnia aerea italiana con i suoi lavoratori.

  

Ora occorre rimediare! Se nel governo c’è qualcuno che ha polso e coraggio, deve riannodare i fili con gli azionisti di Alitalia, per riportare le lancette a prima del referendum, facendo valere il patto sottoscritto. E bisogna fare presto per evitare il totale disfacimento dell’azienda e con essa migliaia di posti di lavoro. Peraltro va ricordato che il mercato del volo italiano è tra i più ricchi, per le tante “colonie” di nostri connazionali nel mondo, per un turismo comunque interessato ai nostri beni culturali e monumentali, che da soli rappresentano più della metà dei beni di tutti gli altri paesi del globo messi insieme. Sarebbe davvero un peccato imperdonabile se perdessimo anche questo caposaldo economico a favore dei nostri concorrenti europei nel turismo e negli affari economici. Non è la stessa cosa se le decisioni dell’ordine dei voli si stabiliscono a Milano o Roma o in qualche altra capitale di paese concorrente nel turismo e negli affari in generale.

   

*Raffaele Bonanni è l'ex segretario generale Cisl

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