Il premier italiano Paolo Gentiloni e quello spagnolo Mariano Rajoy (Foto LaPresse)

Lezioni di responsabilità dalla Spagna

Redazione

Riforme, banche, politica, europeismo merkeliano. Stile Rajoy

Con il 3,2 per cento nel 2016 il pil della Spagna ha continuato a crescere del doppio rispetto alla media dell’Unione europea. Il Fondo monetario internazionale sottolinea “la straordinaria ripresa, la creazione di posti di lavoro, il rapido superamento di alcuni disequilibri”; ma sul fronte economico il miracolo quasi non fa più notizia. È per la politica che Madrid meriterebbe attenzione. Per due caratteristiche: stabilità e rifiuto di derive populiste e della ricerca di alibi esterni ai problemi domestici. Sport invece praticato dai populisti e da gran parte dell’opinione pubblica in Italia (e Francia): con le varie scorciatoie anti Europa, anti Merkel, anti complotti bancari.

 

La stabilità della Spagna è impersonata da Mariano Rajoy, del Ppe, e quindi di default definito “grigio”. Al governo dal 2011, nel 2016 è stato per dieci mesi senza maggioranza parlamentare, riconquistata con un accordo con Ciudadanos, una sorta di grillismo moderato e assai annacquato. Rajoy ha dedicato i primi anni a tagliare la spesa pubblica e riformare il già flessibile mercato del lavoro; nel 2013 ha ottenuto – in cambio di una parziale e temporanea cessione di sovranità che qui avrebbe scatenato le barricate politiche, sociali e sindacali – 41 miliardi di aiuti europei, già restituiti, per ristrutturare il sistema bancario, crediti inesigibili compresi (in questi giorni Andrea Enria, capo dell’Eba, parla di una bad bank europea per incoraggiare la compravendita dei crediti cattivi: operazione ad alto rischio per i privati che si vedrebbero rientrare a bilancio i prodotti finanziari invenduti se, come probabile, non trovassero mercato).

 

Il mini-intervento della Troika ha portato solo provvisoriamente consensi a Podemos e Ciudadanos, populisti velleitari che non chiedono l’uscita dall’euro al contrario di Grillo & Salvini. Né Rajoy ha mai ceduto alle sirene di un utopico fronte mediterraneo. Il risultato è un paese che cresce a velocità tripla dell’Italia, con lo spread di 80 punti inferiore (da non sottovalutare ora che l’inflazione dell’Eurozona è salita all’1,8 per cento, appena sotto la soglia limite per la Bce), con una disoccupazione alta ma che nel 2017 potrebbe agguantare, in discesa, quella italiana. E che ha messo alle spalle i suoi problemi affrontandoli anziché scaricarli sulle generazioni future. Questione di reputazione? Meglio dire responsabilità.

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