Mario Draghi (foto LaPresse)

La Bce e il post referendum

Draghi dà più tempo ma un po' meno soldi. Argine al caos italiano

Renzo Rosati

Il Quantitative easing continuerà ma con 20 miliardi al mese in meno. Consigli all’Italia rimasta senza testa. I mercati e l’instabilità

Roma. La Banca centrale europea continuerà il Quantitative easing (allentamento monetario) fino a marzo 2017 al ritmo attuale di 80 miliardi al mese di acquisti, lo ridurrà a 60 miliardi mensili da aprile a dicembre ma sempre riservandosi la possibilità di andare oltre, e anche di risalire al livello attuale, se l’inflazione dell’Eurozona non tornasse vicina al 2 per cento, quota considerata ottimale per garantire una ripresa economica durevole. E poiché le stime dell’Eurotower prevedono un 1,7 di inflazione nel 2019 – dopo 1,3 l’anno prossimo, 1,5 nel 2018 – Mario Draghi precisa che quel livello immaginato da qui a tre anni non sarà ancora sufficiente (“not really”) per interrompere la politica di denaro facile in Europa:  “E’ bene che si sappia che la Bce c’è e ci sarà ancora per molto tempo”.

Anche su un altro punto Draghi ha insistito dopo il Consiglio direttivo di ieri: nessuno parli, e “nessuno ne ha parlato al nostro interno”, di tapering, cioè di fine del Qe e di ritorno ai tassi in rialzo, come invece sta mettendo in atto la Federal reserve americana. Neppure la contrazione da aprile in avanti – che in effetti un po’ di odore di tapering lo sprigiona e che ha provocato il lieve rialzo dello spread e riportato sopra il 2 per cento il rendimento dei Btp decennali – va considerato secondo Draghi il fischio di avvio dell’inversione, ovvero una specie di mini-tapering (che poi in realtà, se ci sarà bisogno, potrebbe anche continuare fino alla fine del mandato di Draghi nel novembre 2019). Anche perché sarà accompagnato, da gennaio, con due altre misure piuttosto lassiste, cioè la possibilità di comprare sul mercato secondario titoli con durata residua fino a un anno (finora erano due), generando l’inevitabile sospetto di finanziamenti a breve per i paesi più inguaiati (e il pensiero va all’Italia) e inoltre portando a 40 punti sotto allo zero il tasso dei titoli acquistabili, ulteriore liquidità che dovrebbe andare a beneficio soprattutto dei paesi nordici.

La Borsa italiana ha risposto bene ma poi è scesa al di sotto del resto d’Europa, forse smaltendo un po’ dell’ubriacatura dei giorni scorsi, e forse iniziando a intravvedere sia pure sui tempi lunghi la fine della pioggia monetaria. In questo contesto, sintetizzabile nel “più tempo meno soldi”, ma che intanto vede sconfitto il partito della stretta subito, il presidente della Bce ha dedicato direttamente e indirettamente all’Italia poche ma sentite parole. E cioè: le riforme da fare, non solo per Roma ma per tutti i governi che beneficiano del Qe, sono “meno tasse, meno spesa pubblica, più investimenti purché finalizzati alla crescita, e tutto legato alla produttività”. E ancora, sempre tenendosi sulle generali ma rispondendo a una domanda sulla crisi italiana: “Il modo migliore per impiegare la liquidità è intervenire sulla scuola, sulla giustizia, sulle leggi elettorali, sulle riforme costituzionali”.

Qualche malizioso potrebbe arguirne che Matteo Renzi non avrebbe potuto dire di meglio, soprattutto fare di meglio. Qualche altro in area centrodestra vi ha scorto l’embrione di un tutoraggio sul futuro governo. “Un preludio a un super-esecutivo tecnico, con tutto già deciso nelle alte sfere” (Francesco Giro, Forza Italia). In realtà anche Draghi ha ammesso di essere rimasto sorpreso dalla reazione positiva dei mercati dopo i tre eventi che dovevano terremotare il mondo: Brexit, elezione di Donald Trump, vittoria schiacciante del No al referendum italiano. “I mercati sono resilienti oltre ogni previsione, dovremo capire la durata di questa reazione, e soprattutto studiarne i motivi”. Draghi si è iscritto al club di chi comincia a parlare di populismo dei mercati?

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