Facciamo fuori anche il petrolio?

Redazione
Le parole “malate” dell’inchiesta di Potenza e quelle sagge di Prodi

Roma. I pm di Potenza interrogano a Roma Maria Elena Boschi e siamo certi che sui giornali di oggi molti osservatori si interrogheranno ancora sull’esistenza dell’“enorme complotto lobbistico con un governo dalle mani grondanti di petrolio” e si impegneranno per avvicinare il più possibile lo stesso Renzi ai “traffici d’influenze” e al “disastro ambientale” su cui indaga la procura di Potenza. Queste ultime – “traffici d’influenze” e “disastro ambientale” – sono le espressioni chiave dell’inchiesta lucana, scivolose come olio nel diritto penale.

 

Soprattutto per quanto riguarda l’ambito dei reati di tipo “ambientale”, con i quali la magistratura inquirente in anni recenti ha falciato il settore chimico, quello siderurgico e parte della filiera del carbone per la produzione di elettricità. Industrie pesanti, kaputt. La pubblica accusa non parla di “disastro ambientale” nelle ordinanze, ma i rumor dicono che sia un’ipotesi d’indagine allo studio e non c’è motivo di ritenere che non sarà così: alcuni impianti d’interesse per le indagini sono stati sequestrati, anche se è possibile la concessione della facoltà d’uso per tutelare salute/ambiente e occupazione/lavoro, si legge nel decreto di sequestro.

 

[**Video_box_2**]In questo contesto di deliri mediatici le parole più razionali sull’estrazione del greggio in Basilicata e sul referendum No Triv, restano però quelle di Romano Prodi:  “La vittoria del ‘sì’ sarebbe un suicidio nazionale. Se dovessi votare non ho alcun dubbio che difenderei gli investimenti”. Renzi ovviamente apprezza (“la mia posizione è quella di Prodi”), ma non si tratta di carinerie politiche. Prodi sa quanto faticò per infilare nelle 281 pagine del programma 2006 dell’Unione riferimenti all’autosufficienza energetica, alla costruzione di reti con capacità di trasporto superiore alla domanda, agli investimenti stranieri e al sostegno a Eni ed Enel; e ora non sacrifica la reputazione di economista industriale alla demagogia del grillino Alessandro Di Battista che descrive una Spectre “di finanzieri, petrolieri, banche, alti ufficiali”, tutti in combutta con Renzi. Potenti oltre ogni limite, secondo il Dibba mangia-manager; in crisi per via di una congiuntura grave, secondo chi lavora nel settore da anni.

 

Le telefonate sul giacimento Tempa Rossa (non ancora attivo) sarebbero il trailer del “gombloddo”. Assecondato d’altra parte da media che scoprono un Eden  oppresso dalla puzza del greggio – che in Lucania sgorga spontaneo dal terreno, si ricorda già nel 1878 – sacrificato alle avide lobby. Nel 2014 al Circo Massimo perfino uno come Luigi Di Maio pose il problema dello sviluppo energetico suggerendo di puntare sulla geotermia “che riguarda l’86 per cento del sottosuolo”. Sbagliò di parecchio, l’Italia non è l’Islanda e l’energia dell’acqua calda sarebbe sfruttabile solo in Toscana, alto Lazio e Sardegna, con massicci investimenti e impatto ambientale ancora peggiore. E dimenticando che i grillini toscani sono in trincea contro il geotermico. Meglio però dei thriller del “Dibba”.

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