Matteo Renzi con Federica Guidi (foto LaPresse)

Il Texas d'Italia e il petrolio che fa paura

Redazione
Oltre il caso Guidi. Storia del giacimento di Tempa Rossa, di un mare di oro nero e di miliardi che rischiano di andare in fumo.

Il Texas d’Italia rischia di fermarsi. Parliamo della Basilicata e di 1,6 miliardi di investimenti internazionali nel giacimento Tempa Rossa, l’area petrolifera più importante sulla terraferma europea.

Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 1/4;

 

Tempa Rossa è un giacimento petrolifero nell’alta valle del Sauro, gestito dalla compagnia francese Total: a regime può produrre ogni giorno 50mila barili di petrolio, 230.000 m³ di gas naturale, 240 tonnellate di Gpl e 80 tonnellate di zolfo. Arriverebbe così a coprire il 40% della produzione di petrolio in Italia.

Ilaria Sacchettoni, Corriere della Sera 1/4;

 

Jacopo Giliberto: «Mentre gli italiani (molti dei quali sono ecologisti soltanto a parole) hanno interrotto la caduta dei consumi energetici e nel 2015 hanno ripreso a bruciare a tutta forza petrolio e metano, mentre rallentano le produzioni energetiche nazionali facendo crescere le importazioni, potrebbero saltare gli investimenti energetici in una delle Regioni diventate fra le più attrattive d’Italia».

Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 1/4;

 

L’indagine della procura di Potenza –  che giovedì scorso ha portato alle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi –  riguarda la costruzione di una serie di infrastrutture per trasportare petrolio dal giacimento Tempa Rossa fino al porto di Taranto, in Puglia. Le indagini hanno portato all’arresto di sei persone e all’iscrizione nel registro degli indagati di un’altra sessantina, tra il cui il compagno della Guidi, l’imprenditore Gianluca Gemelli.

Ilaria Sacchettoni, Corriere della Sera 1/4;

 

Secondo la procura, Gemelli avrebbe sfruttato la sua relazione per ottenere alcune consulenze dalle società che dovranno costruire le infrastrutture necessarie per il funzionamento di Tempa Rossa. L’ex ministro Guidi non è indagata, mentre il compagno è accusato di «millantato credito», cioè di aver utilizzato la sua relazione con il ministro per favorire i suoi affari.

Alberto D’Argenio, la Repubblica 1/4;

 

Giliberto: «Il petrolio, in Basilicata, è così generoso che sgorga anche da solo. A volte il greggio trafila dalle colline. A Tramutola (Potenza) c’è anche la sorgente del petrolio. Sorgente naturale. Alle spalle del campo sportivo, tra le faggete, l’aria non ha il profumo di un bosco di mezza montagna bensì ha l’odore penetrante e inconfondibile un distributore di benzina: il ruscello è un rivolo naturale di petrolio, e durante la guerra vi si rifornivano i camion del Regio esercito e della Wehrmacht. E poi quel petrolio – litri ogni ora – corre nella valle e si accumula in un lago messo sotto accusa per l’inquinamento da idrocarburi».

Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 1/4;

 

Angelo Mastrandrea: «Ne rimasero colpiti pure alla grande esposizione universale di Parigi del 1878, quando di fronte all’ampolla d’oro nero arrivata dalla Lucania in molti rimasero stupiti quasi come davanti alla nuovissima tour Eiffel. Ma dovette passare ancora del tempo perché da quella “piccola sorgente di acqua mista a petrolio” – dove quest’ultimo “viene emesso in piccola quantità, ma in modo continuo sotto forma di viscide filacciche che vengono trascinate dalla corrente impeciando le sponde del ruscello e sprigionando un acuto odore caratteristico” e talvolta “anche delle bollicine gassose”, come si legge in un Bollettino della società geologica italiana datato 1902 – si arrivasse all’estrazione vera e propria».

Angelo Mastrandrea, internazionale.it 15/8/2015;

 

Le rocce nelle profondità sotto la Basilicata sono impregnate di petrolio, senza contare quanto si nasconde dove quelle rocce proseguono e sprofondano sotto il golfo di Taranto. La struttura geologica della val d’Agri e di Tempa Rossa continua sotto il fondale del mar Ionio e qui la Shell – prima di essere stata costretta un mese fa a ritirarsi per le proteste e gli inciampi burocratici – aveva programmato investimenti per circa 2 miliardi di euro per estrarre quelle risorse in fondo al mare.

Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 1/4;

 

In Basilicata oggi si estraggono il 70,6 per cento del petrolio e il 14 per cento del gas italiani.

Angelo Mastrandrea, internazionale.it 15/8/2015;

 

Il giacimento di Tempa Rossa fu scoperto nel 1989, fra alcuni paesi arroccati in quota sull’Appennino Lucano, cioè Corleto Perticara, Gorgoglione e Guardia Perticara. La Total nel 2006 aveva firmato con la Regione Basilicata un accordo quadro per dividere con la cittadinanza il valore del giacimento: impegni ambientali, royalties a Regione e Comuni, incentivi agli enti locali, piani di promozione sociale ed economica.

Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 1/4;

 

A oggi, però, non è ancora cominciata l’estrazione del gas e del greggio a Tempa Rossa. Si tratta di perforare meno di una decina di pozzi per raggiungere le rocce imbevute di idrocarburi, ma per alcuni di questi pozzi manca ancora l’autorizzazione dell’amministrazione pubblica. È in costruzione il Centro Olio, uno stabilimento nel quale il petrolio estratto avrà una prima pulizia per togliere lo zolfo contenuto al suo interno. Poi dalle montagne della Basilicata il greggio con un oleodotto sarà mandato a Taranto, dove la raffineria dell’Eni lo trasformerà in benzina, gasolio e altri prodotti. I lavori a Taranto sono bloccati da anni per le proteste e per l’opposizione delle amministrazioni locali.

Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 1/4;

 

Vale 300 milioni di euro la parte tarantina del progetto Tempa Rossa, compresi la costruzione di due serbatoi di stoccaggio da 180mila metri cubi all’interno della raffineria Eni di Taranto e l’allungamento di 515 metri del pontile petroli della stessa raffineria. Due anni di lavori, 300 occupati di cantiere e un ricaduta per circa 50 imprese. Il tutto per far affluire a Taranto, attraverso l’oleodotto Val D’Agri già esistente, il greggio di Tempa Rossa, stoccarlo temporaneamente e caricarlo sulle navi dei clienti della joint Total, Shell e Mitsui. Di queste opere, però, allo stato non è partito ancora nulla.

Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 2/4;

 

Tornando in Basilicata, invece, c’è un altro grande giacimento che l’Italia sfrutta da molti anni, quello dell’Eni in Val d’Agri. Anche questo è sotto inchiesta: fra le accuse c’è quella di avere reimmesso in modo irregolare nel sottosuolo le acque sotterranee uscite dalla roccia insieme con il petrolio. Di averle classificate con codici scorretti dei rifiuti.

Domenico Palmiotti, Il Sole 24 Ore 2/4;

 

In ogni caso, secondo un’analisi Agriregionieuropa, l’attività petrolifera apporta alla Basilicata un valore aggiunto sui 500 milioni e genera più di 5mila posti di lavoro. Ancora Giliberto: «È una manna per una regione dove il Pil pro capite per i 500mila abitanti s’aggira sui 18mila euro e dove l’agricoltura (quante volte è stato detto che “il nostro territorio è vocato per l’agricoltura”?) è un doloroso 3% dell’intero Pil regionale».

Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 2/4;

 

L’impianto di Tempa Rossa si trova nel comune di Corleto Perticara, 2.500 abitanti. L’attuale sindaco Antonio Massari – il precedente, Rosaria Vicino, coinvolta nell’inchiesta di Potenza, è ai domiciliari da giovedì – spiega: «Con la Total lavorano stabilmente circa 150 abitanti del paese. Ma il cantiere occupa molte più persone. Oggi sono circa 1.600. La novità della nostra amministrazione è stata quella di ottenere che la Total assumesse dopo corsi di formazione collettivi e non su segnalazione dei politici».

Paolo Griseri, la Repubblica 2/4;

 

Secondo l’ultimo aggiornamento fatto il 7 gennaio scorso dall’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, nel 2015 il gettito delle royalties per la sola Basilicata è stato di 158 milioni di euro. E tra il 2001 e il 2013, nelle casse della Regione e dei 12 Comuni che ricadono nell’area estrattiva, sono finiti 1 miliardo e 158 milioni di euro.

Antonello Cassano, la Repubblica 13/1;

 

Antonello Cassano: «Le polemiche sull’utilizzo di questa montagna di denaro non mancano. Quel che è certo è che i soldi del petrolio coprono molte esigenze: 30 milioni vanno alla sanità regionale, 20 al programma di forestazione, altri 10 alle università, un paio finanziano le borse di studio. Ora spuntano 40 milioni per coprire il reddito minimo garantito a 8mila famiglie in difficoltà economiche. Per non parlare della carta idrocarburi, assegnata a ogni lucano possessore di patente, che dà diritto a un centinaio di euro all’anno da spendere in rifornimenti di benzina».

Antonello Cassano, la Repubblica 13/1;

 

Paesi petroliferi come la Norvegia e la Gran Bretagna, ma anche l’Irlanda, hanno zero royalties sul petrolio. Hanno spostato sulla fiscalità, sulle tasse alle compagnie, tutto il prelievo pubblico su gas e petrolio. In Italia variano se il giacimento è su terra o su mare, se di gas o di petrolio. Alle royalties l’Italia aggiunge la normale fiscalità sugli utili delle compagnie. In tutto preleviamo alle compagnie petrolifere circa il 50-60% del valore del petrolio estratto.

Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 2/4;

 

In totale in Italia nel 2014 la voce royalties è stata pari a 402 milioni, di cui 182,4 alle Regioni petrolifere (pari al 45%), 70,6 milioni allo Stato e 29,2 milioni ai Comuni con i pozzi. Le compagnie che nel 2014 hanno pagato di più sono l’Eni (258,7 milioni) e la Shell (106 milioni).

Antonello Cassano, la Repubblica 13/1;

 

Oggi per il suo fabbisogno energetico – gas e petrolio – l’Italia dipende dal 90% dalle esportazioni estere e da paesi assai problematici come Russia e Algeria.

Oscar Giannino, Il Messaggero 2/4;

 

Eppure, negli anni del boom economico l’Italia aveva trovato uno slancio energetico che sembrava prospettare uno scenario più roseo, con oltre cento pozzi petroliferi l’anno scavati tra il 1949 e il 1964 e settemila impianti attivi – oggi siamo sotto i mille – a pompare dal suo sottosuolo quasi il 50% del gas di cui il Paese aveva bisogno.

Ettore Livini, la Repubblica 14/8/2012;

 

Scriveva Ettore Livini nel 2012: «Tutto è cambiato. Il volume di idrocarburi made in Italy è sceso da 20 a 8 miliardi di metri cubi. Il boom del greggio della Val d’Agri, complici le lungaggini di casa nostra – Total e Shell hanno avuto bisogno di 400 permessi prima di far partire i lavori a Tempa Rossa – ci ha regalato la miseria di pochi milioni di barili l’anno. E in pochi hanno voglia di imbarcarsi in interminabili odissee burocratiche per scavare sottoterra».

Ettore Livini, la Repubblica 14/8/2012;

 

Ora, con l’inchiesta che coinvolge Tempa Rossa, gli investimenti rischiano di fermarsi ancora una volta, «mentre sempre più aziende del settore – Shell, Petroceltic, Transunion – nelle ultime settimane hanno abbandonato i progetti nell’Italia che sembra volere sempre più petrolio a patto che sia solo di importazione».

Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore 1/4.

 

 

a cura di Luca D’Ammando

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