La cancelliera tedesca Angela Merkel e il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il “vincolo esterno” era uno stimolo liberale, ora è una costrizione. L'ex ministro Martino sulle “colpe italiane”

Renzo Rosati
“Renzi fa bene a ribellarsi all’evanescente Commissione – dice il deputato di FI – e a voler mettere i puntini sulle ‘i’ con Merkel che però ha rinnegato Kohl sull’Europa”

Roma. Per Antonio Martino, deputato di Forza Italia, ex ministro degli Esteri e della Difesa dei governi Berlusconi, già docente di Storia e politica monetaria alla Sapienza di Roma, un “vincolo esterno” per l’Italia c’è sempre stato, ma fino a non molto tempo fa ha agito da stimolo positivo per il nostro paese. E solo negli ultimi anni è stata la Germania a imporre una tutela oppressiva, pur se è (troppo) facile evocare sinistre memorie della storia. “Da quando – dice Martino al Foglio – nel Dopoguerra siamo entrati stabilmente nel campo occidentale, prima tra i fondatori della Nato e poi della costruzione europea, il vincolo è venuto tanto dal mercato e dalle sue istituzioni rappresentative, come il Fondo monetario, quanto dalle varie forme nelle quali si è evoluta l’unità d’Europa. Con due costanti di politica estera: la libertà economica e la coesione europea, entrambe complementari all’atlantismo. Poi, con il Trattato di Maastricht e ancora più con l’interpretazione alla quale quel Trattato è stato piegato dalla Germania di Angela Merkel, il vincolo si è trasformato in costrizione, la maggiore libertà in minore libertà, il ruolo europeo nella misura del grado di adesione alle direttive burocratiche di Bruxelles e alle imposizione tedesche”.

 

Sotto questo aspetto, secondo Martino, “fa bene Matteo Renzi a ribellarsi alla Commissione e al suo evanescente presidente, e a voler mettere i puntini sulle ‘i’ con la cancelliera che incontrerà oggi. Adesso però a Berlino trova un’interlocutrice che sulla coesione europea ha rinnegato Helmut Kohl, con il risultato che anche i tedeschi sono sempre più insofferenti ai vincoli esterni, specie di Bruxelles, per motivi diametralmente opposti ai nostri”. Se Paolo Savona, in un intervento pubblicato sul Foglio martedì scorso, identifica la linea di degenerazione del salutare vincolo mercatista esterno nel Trattato di Maastricht del 1992 e nelle successive superfetazioni (compresa l’adesione affrettata all’euro), fino al Fiscal compact e al Six Pack del 2011, al Two Pack del 2013, cessioni di sovranità senza contropartite, Martino la individua “nella perdita d’iniziativa, identità e orgoglio politico, tutti delegati alla Germania, dove invece di politica se ne fa molta, ma a uso interno, e adesso si ripiega su se stessa”.

 

[**Video_box_2**]L’ex ministro quasi si commuove al ricordo del padre Gaetano Martino, come lui esponente liberale, che nel giugno del 1955 da ministro degli Esteri ospitò per tre giorni a casa sua a Messina i colleghi tedesco, francese, belga, olandese e lussemburghese, “i paesi che con l’Italia costituivano la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Quell’organismo tipico della ricostruzione doveva evolversi in comunità politica-economica, ma la Francia che aspirava a essere potenza autonoma faceva ostruzionismo in chiave antitedesca. Mio padre prese l’iniziativa e convocò una conferenza a Taormina, che in gran parte si svolse appunto nella casa di famiglia a Messina. Lì vennero messe giù le prime bozze della Comunità economica europea e della Comunità dell’energia atomica, completate l’anno dopo a Venezia. Finché il 25 marzo 1957, la Cee e l’Euratom nascevano con i Trattati di Roma, firmati per l’Italia da mio padre e dal presidente del Consiglio Antonio Segni. Per la Germania firmò come cancelliere Konrad Adenauer, per il Belgio Paul-Henri Spaak. Tutto questo per dire che le carte e i trattati sono importanti, ma poi camminano sulle gambe delle persone, sulle idee e sul coraggio. L’europeismo era una visione che non prevedeva egemonie. Ispirandosi al vincolo di mercato e alla libertà, è stato positivo fino ai primi anni Duemila. Nell’Unione europea lo si è soppiantato proprio con una burocrazia egemonica percepita come filotedesca. Un suicidio”.