Il presidente cinese Xi Jinping (foto LaPresse)

Come la Cina si è guadagnata un posto tra le grandi valute

Ugo Bertone
Dal 1° ottobre prossimo lo yuan si aggiungerà al paniere delle valute “liberamente scambiabili” che costituiscono l’attivo del Fondo monetario internazionale. Il valore politico per Pechino

Milano. Ci sono voluti sei anni dalla richiesta ufficiale del 2009, ma alla fine la Cina ha centrato l’obiettivo: dal 1° ottobre prossimo lo yuan si aggiungerà alle monete che determinano il valore dei Diritti speciali di prelievo (Drs), ovvero il paniere delle valute “liberamente scambiabili” che costituiscono l’attivo del Fondo monetario internazionale. Ciascuno dei 188 paesi che aderiscono al Fmi, potrà così fare ricorso anche allo yuan per equilibrare, in caso di necessità, la propria bilancia dei pagamenti. Almeno in teoria, perché l’utilizzo della moneta cinese negli scambi commerciali è per ora marginale: non più del 2,5 per cento del totale, meno dello yen giapponese e della sterlina, una frazione del giro rappresentato dall’euro (il 29 per cento) e dal dollaro (il 43). Dal punto di vista pratico, insomma, le conseguenze saranno modeste: lo yuan peserà per il 13,5 per cento nel nuovo paniere e comporterà solo un modesto aumento dei tassi di interesse sui diritti. Ma sul piano politico, il valore simbolico attribuito dal presidente Xi Jinping alla promozione è enorme.

 

Sul fronte interno l’apertura del Fmi se per ora serve a dimostrare che la trasparenza – per ora relativa – può produrre buoni frutti, essenziali per favorire una transizione soft della Cina da potenza solo manifatturiera a realtà finanziaria. Il passaggio non è facile come dimostra la difficoltà del decollo delle nuove zone economiche attorno a Shanghai, compresa la grande piazza finanziaria collegata ad Hong Kong, in netto ritardo sulla tabella di marcia. E così il via libera del Fmi serve a dare una spinta alle inchieste sul malaffare dello Shanghai Stock Exchange, investito non a caso in questi giorni dalle inchieste sui principali trader, indagati per vari reati finanziari. In campo internazionale, la novità è ancora più rilevante. Pechino è stata promossa, perché la sua moneta è diventata, agli occhi del Fmi, “largamente utilizzata e facilmente scambiabile” sui mercati dopo le riforme dell’estate scorsa, che pure avevano fatto vacillare i listini, preoccupati per la svalutazione della moneta. Ma non si trattava di dumping, ritengono gli esperti, bensì di un passaggio da una regìa pianificata a un maggiore rispetto del mercato. Una tesi che non tutti, specie negli Stati Uniti, condividono. “Il Fmi si è prostrato ai piedi dell’Imperatore” protesta Edwin Truman, già testa d’uovo del Tesoro, oggi al Peterson Institute. “Per ammettere lo yuan – aggiunge – al Fmi hanno dovuto stravolgere i criteri finora seguiti”. La Cina, è la tesi, resta un mercato finanziario chiuso con un forte controllo sui movimenti di capitali, nonostante le riforme degli ultimi mesi, comunque troppo recenti per giustificare un’apertura pericolosa a una valuta che non dà garanzie di rispondere a criteri di mercato. Senza dimenticare che oggi, a ben vedere, negli scambi mondiali contano di più il dollaro canadese o quello australiano, che non appartengono al club delle valute di riserva. Vero, può ribattere Christine Lagarde. Ma guardiamo altri numeri: negli ultimi anni Pechino ha prestato soldi a 32 paesi, emergenti e sviluppati per un totale di almeno 3 mila miliardi di yuan (470 miliardi di dollari) attraverso accordi bilaterali, pur senza poter disporre della clausola di convertibilità. Insomma, la Cina è già un protagonista chiave.

 

[**Video_box_2**]L’avanzata di Pechino è già una realtà consolidata, come ben sanno Janet Yellen e Mario Draghi. Nel corso degli ultimi mesi, per evitare il calo dello yuan sgradito ai partner del G20 (e conquistare la promozione) la Banca centrale cinese ha attinto dalle sue enormi riserve (4.200 miliardi di dollari) di bond e di titoli dell’Eurozona. In questo modo ha contribuito a ridurre il prezzo e, di riflesso, ad aumentare i rendimenti della “carta” Usa come vuole Janet Yellen. Ma, soprattutto, ha rimesso in circolo i titoli dell’Eurozona a lungo termine, sempre più rari dopo gli acquisti Bce. Anche grazie a questa mossa  Mario Draghi può progettare l’allungamento del Quantitative easing, altrimenti irrealizzabile visto che la lista dei titoli acquistabili dalla Bce (che non comprare bund o Btp in terreno negativo) si ormai ristretta assai. Insomma, la Cina nel club delle valute che contano ci è già entrata da tempo. Ora è soltanto ufficiale. 

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