Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

Governo Renzi in manovra

Una montagna si cela ancora dietro i decimali da strappare all'Ue: il debito

Redazione
La crescita rivista all’insù nel Def, uno “sconto” sul deficit per gli immigrati, i moniti rigoristi di Draghi e della Bri. Per l’Ue è il “fattore centrale”

Roma. Mentre il governo mette mano al Documento di economia e finanza (Def), e inizia le trattative con l’Europa sulla manovra 2016 – ieri il Consiglio dei ministri ha approvato la variazione che aumenta allo 0,9 per cento la stima del pil di quest’anno, e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha incontrato a Roma il commissario per gli Affari economici Pierre Moscovici – torna a incombere la questione del debito, che dunque potrebbe finire sul piatto del negoziato con Bruxelles. Moscovici, pur definendo l’Italia “non più sorvegliata speciale”, ha aggiunto che “il fattore centrale è l’alto debito pubblico”. E la Banca centrale europea, nell’ultimo Bollettino, nota che i miliardi risparmiati dal calo dello spread (ieri sceso sotto i 110 punti) prodotto dal Quantitative easing dovrebbero servire a ridurre il deficit, causa prima dell’aumento del debito, mentre sia nel 2015 sia nel 2016 il governo li ha utilizzati, e intende di nuovo farlo, per finanziare misure espansive. In ballo ci sono 6-7 miliardi di risparmi l’anno ottenuti grazie al denaro facile della Bce. Un po’ in stile Federal reserve, insomma.

 

Anche la Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, l’istituto che fa da compensazione dei flussi monetari provenienti dalle Banche centrali di tutto il mondo, torna a occuparsi di debiti pubblici. In un paper appena pubblicato osserva che la liquidità globale causata dai tassi bassissimi si espande a dispetto di un costo del denaro “a picco”, una situazione di bolla potenzialmente pericolosa. In un elenco di economie avanzate l’Italia non è considerata a rischio, ma solo per il gap tra credito bancario e pil (negativo per il 9,8 per cento) e per il calo dei valori immobiliari (meno 17,2). Due fattori che tengono le banche al riparo ma che non indicano precisamente un’economia in salute. Quanto al debito, il costo degli interessi potrebbe triplicarsi dai circa 80 miliardi l’anno se lo spread aumentasse di 250 punti, e restasse a quel livello.

 

[**Video_box_2**]E’ uno scenario estremo, d’accordo, ma in questi anni si è visto un po’ di tutto. Moody’s, che rivedrà il rating italiano il 9 ottobre – attualmente è a Baa2 con outlook stabile – ieri ha elogiato il surplus primario italiano (la spesa pubblica al netto degli interessi), pari all’1,5 per cento del pil, definendolo “notevole, ma tuttora insufficiente agli obiettivi dichiarati di riduzione del debito”. Secondo il governo il deficit si assesterà quest’anno al 2,6 per cento del pil, nel 2016 al 2,2 (con un possibile 0,2 aggiuntivo per far fronte alla crisi migratorio). Il debito invece raggiungerà quest’anno il 132,8 per cento del pil, per scendere l’anno prossimo “per la prima volta dal 2007” – ha detto Padoan – al 131,4; quindi al 120 per cento nel 2019, mentre l’agenzia prevede quasi dieci punti in più, 129, con un picco al 133,3 quest’anno. Le riforme renziane sono in linea di massima giuste ma, in gran parte finanziate in deficit invece che con tagli alla spesa. “Vogliamo abbassare il debito – ha detto Renzi – Pensiamo sia giusto verso i nostri figli e i nipoti. Il debito ci preoccupa”. Purché l’anno della “svolta” su questo fronte non debba essere rinviato ancora.

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