Vizio in bianco

Redazione
E’ contagiosa (e depressiva) la moda di sbianchettare sigarette e alcol in nome dell’ideologia salutista

Roma. Lo scorso 9 giugno, davanti all’ambasciata francese a Jakarta, centinaia di coltivatori di tabacco indonesiani hanno protestato contro il piano anti tabacco del ministro della Salute, Marisol Touraine, approvato ad aprile dall’Assemblea nazionale, che introdurrà in Francia l’obbligo del “plain packaging”, il pacchetto anonimo. A partire da maggio 2016 tutti i pacchetti di sigarette francesi saranno della stessa grandezza, dello stesso colore, la superficie sarà occupata per il 65 per cento da immagini choc e senza alcun logo. L’obiettivo del governo è ridurre il tasso di fumatori che in Francia non scende, nonostante l’elevato prezzo delle sigarette e le campagne educative e di comunicazione. Il provvedimento non è particolarmente gradito agli indonesiani, perché il paese asiatico è uno dei più grandi produttori mondiali di tabacco, con 2 milioni di coltivatori e 6 milioni di occupati il settore è uno dei più importanti dell’economia della nazione. Visto che la legge è ormai passata, gli agricoltori indonesiani hanno scritto all’ambasciatore francese che appoggiano la decisione del proprio governo di rispondere con una misura identica sull’alcol, di cui la Francia con vini e champagne è grande esportatrice in Indonesia. Si tratta ovviamente di una ritorsione commerciale, ma se la motivazione salutista vale per il tabacco ha un senso anche per l’alcol, che tra l’altro già non è ben visto per ragioni culturali e religiose in un paese islamico come l’Indonesia.

 

La battaglia sul tabacco è partita nel 2012 in Australia, quando l’allora governo laburista ha introdotto l’obbligo di confezioni tutte uguali, di colore marroncino, senza loghi, con il marchio e il tipo di sigaretta scritti in piccolo in basso, avvisi dei danni che può provocare il fumo e immagini esplicite di organi colpiti da cancro e corpi in fin di vita. La legge australiana è appoggiata dall’Organizzazione mondiale della sanità e dalla quasi totalità delle associazioni impegnate nella lotta al cancro, anche se gli effetti della norma non sono univoci. Il governo e le associazioni, dati alla mano, sostengono che dopo l’introduzione del “plain packaging” c’è stato un calo del consumo di sigarette, dall’altro lato invece c’è l’industria del tabacco secondo cui il calo dipende dall’aumento delle accise (in Australia un pacchetto di sigarette costa circa 15 euro) e non indica neppure una riduzione dei consumi visto che i consumatori si sarebbero spostati verso prodotti più economici o di contrabbando. Alla legge australiana – che ha ispirato quella francese e che molte altre nazioni come Nuova Zelanda, India, Norvegia, Gran Bretagna e Irlanda stanno pensando di introdurre – si sono opposti molti paesi produttori poveri che vedono la norma come una barriera commerciale che danneggia le loro economie. Honduras, Indonesia, Repubblica dominicana e la comunista Cuba hanno fatto ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) contro l’Australia perché la nuova regolamentazione da un lato sarebbe inefficace a combattere il tabagismo e dall’altro scorretta perché danneggia il loro brand, rendendolo irriconoscibile dagli altri. Anche il governatore del Nord Carolina, il repubblicano Pat McCrory, è sceso in campo in difesa dell’industria del tabacco chiedendo retoricamente alla Francia e all’Irlanda come reagirebbero se negli Stati Uniti passasse una legge simile sull’alcol, che obbligasse a togliere il marchio Guinness dalle birre o a imbottigliare il Dom Pérignon in contenitori standard anziché in bottiglie sinuose.

 

[**Video_box_2**]Purtroppo il problema di questi paradossi è che c’è sempre qualcuno che li prende sul serio. In Irlanda è stata da poco depositata una proposta di legge per applicare il “plain packaging” all’alcol e in Australia c’è chi va oltre, chiedendo di estendere le norme restrittive non solo all’alcol ma pure al “junk food”, ai cibi carichi di grassi e zuccheri. Il rischio non è solo che il salutismo diventi uno strumento per innalzare barriere protezioniste, ma di ritrovarsi circondati a tavola e nei supermercati da prodotti con etichette di fegati cirrotici, incidenti stradali, organi malati e arti in cancrena.

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