Foto di Claudio Furlan, via LaPresse 

DI COSA PARLARE STASERA A CENA

Le risposte dei partiti alle minacce di Putin e l'errore di Conte

Giuseppe De Filippi

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Su Vladimir Putin e della sua situazione di difficoltà psicologica, politica e militare non c’è molto da dire, il suo fato sembra segnato, in una progressiva riduzione dei margini di manovra e nel definitivo isolamento internazionale cui lo consegnano la nuova freddezza sia del presidente cinese sia di quello turco. La via alle facili ricchezze che si apre ai gruppi di potere che prendono il controllo del Cremlino è l’altro elemento per lui destabilizzante, perché il tesoro su cui siede è una micidiale esca per potenziali aspiranti alla guida della Russia. Ciò che conta, per noi, è il tipo di risposta che, da queste parti, arriva alle parole e alle minacce russe. Le differenze ci sono e si notano.

 

C’è chi la butta un po’ comodamente sulle dichiarazioni formalissime di fedeltà atlantica, come Forza Italia e Lega. Chi si espone con più nettezza, cogliendo l’aspetto centrale della partita, quello della coesione come valore in sé quando si parla di appartenenza alla Nato e allo schieramento occidentale. Lo fa, sorprendendo un po’, Giorgia Meloni, parla di referendum farsa indetti da Putin, di suo evidente nervosismo, e invita a “lucidità e compattezza”, senza aggiungere altro. Il Pd (ma non i suoi alleati elettorali di sinistra) è con chiarezza su questa posizione da mesi. Carlo Calenda e Matteo Renzi ci mettono un di più di militanza, per farsi notare.

 

Il problema è Giuseppe Conte. Perché forse non si rende conto di ciò che dice, magari vuole distinguersi, spiccare, ma tocca un tema pericoloso oltre la ragionevolezza. Conte parla, per strada, di minaccia nucleare russa, come arma estrema cui ricorrerebbe un Putin umiliato, esasperato. E chiede di adeguarci, di decidere sul nostro rapporto con l’Ucraina, con la Nato, con l’Europa, mettendo sul piatto anche la minaccia nucleare russa. Questo, però, è un errore logico e strategico, con terribili implicazioni. Non perché la minaccia non esista. Ma perché la risposta a quella minaccia non spetta a nessun singolo paese e tantomeno al leader di un partito. La risposta che determina l’equilibrio nucleare è della Nato nella sua interezza, cui partecipiamo secondo regole formali, non derogabili. E questo non perché la Nato è un ente superiore, ma perché quel potere ha senso solo se esercitato attraverso lo strumento dell’alleanza, cui viene attribuita autonomia operativa.

 

È la compattezza di cui parla Meloni, probabilmente ben consigliata. Conte, evidentemente consigliato meno bene, invece, apre un dossier tutto italiano di fronte a una minaccia nucleare potenziale (tra l’altro non esplicitata dai russi, ma, paradossalmente, solo dai pupazzi italiani). È chiaro che la risposta di un singolo paese di fronte alla paura atomica può essere solo la resa totale, preventiva, orsiniana e ora contiana. E questo avverrebbe di fronte a qualunque ultimatum da un paese con armi nucleari verso l’Italia. È proprio per questa ragione che si sta, compattamente, in un’alleanza come la Nato. Con il vantaggio di poter completamente delegare la questione all’organismo difensivo internazionale. L’equilibrio nucleare, allora, prende senso e diventa una condizione di reciproca minaccia e reciproca garanzia di sicurezza da cui è impossibile uscire. Conte non riuscirà a rompere questo efficiente e, si direbbe, provvidenziale meccanismo, ma con le sue parole potrebbe causare qualche crepa. Intanto i russi finché possono fuggono dalla mobilitazione putiniana, alcuni di loro provano anche a protestare.

Le tre "cose" principali

 

Fatto #1 

Confrontare ciò di cui sopra con le parole di Mario Draghi all’Onu. Orgoglio e forza delle libere democrazie. Come la vede Joe Biden

Fatto #2

È chiaro che, invece, a Washington si possa parlare di minaccia nucleare russa, prendendola sul serio. Perché le leve di cui dispone il governo americano, nel doppio ruolo di difesa nazionale e di guida del fronte occidentale, consentono di mantenere una posizione sufficientemente forte per dare senso al confronto strategico anche quando si arriva a far entrare nelle possibilità l’uso dell’arma atomica

Fatto #3

La sfida al potere in Iran

Oggi in pillole