Il presidente turco Erdogan con Putin e altri leader al vertice Sco (LaPresse) 

vie diplomatiche

Erdogan dice a Putin di lasciare i territori occupati (anche la Crimea)

Federico Bosco

Il leader turco pensa che per una risoluzione del conflitto la Russia debba restituire terreno all’Ucraina. Ankara fornisce armi a Kyiv, ma non ha aderito alle sanzioni al Cremlino e la tolleranza degli alleati nei confronti di questa doppiezza si sta esaurendo

Dopo aver tenuto banco al vertice della Shangai Cooperation Organization a Samarcanda, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è a New York per l’Assemblea delle Nazioni Unite. Ma le dichiarazioni più importanti sono arrivate dall’intervista alla tv american Pbs.

Erdogan ha detto che, dopo una discussione approfondita, Vladimir Putin gli ha dato l’impressione di voler concludere la guerra in Ucraina. Ma il leader turco pensa che la Russia debba restituire tutti i territori all’Ucraina, riferendosi non solo ai territori occupati dal 24 febbraio, ma anche alla Crimea. “Dal 2014 ne parliamo con il mio caro amico Putin” ha detto Erdogan. “Gli abbiamo chiesto di restituire la Crimea ai legittimi proprietari, loro (i tatari crimeani) sono i nostri discendenti e, allo stesso tempo, le persone che ci vivono”. Poi ha citato le parole con cui si è rivolto a Putin. “Se dovessi fare questo passo avanti, daresti sollievo anche i tatari di Crimea e all’Ucraina.

Questo è quello che abbiamo sempre detto. Ma da allora, purtroppo, non è stato fatto alcun passo avanti”. I tatari sono una popolazione musulmana di origine turca che rappresenta circa il 12 per cento degli abitanti della Crimea, con un storia di deportazioni staliniste e persecuzioni che oggi hanno preso la forma di una diffidenza delle autorità occupanti russe che li considerano  vicini a Kyiv e Ankara. Con queste parole Erdogan ha oltrepassato quella che per il Cremlino è la linea rossa delle rivendicazioni etniche e territoriali sulla penisola. Cosa invece sul tema pensi Putin è chiaro: ieri sono stati annunciati i referendum per l’annessione alla Russia delle repubbliche di Donetsk e Luhansk. “I cosiddetti referendum che la Russia terrà nell’est dellUcraina non saranno mai accettati dalla Turchia” ha risposto a stretto giro Erdogan, smentendo così in poche ore le sue impressioni iniziali sulle buone intenzioni di Putin. 

La guerra in Ucraina ha messo la Turchia in una posizione difficile, in quanto paese membro della Nato, guardiano degli stretti del Mar Nero e crocevia dei gasdotti. Fin dall’inizio Erdogan si è conquistato un ruolo di mediatore organizzando i primi incontri diplomatici, e in seguito ha aiutato le Nazioni Unite a negoziare gli accordi per far riprendere le spedizioni di grano dai porti ucraini assediati. Ankara fornisce armi a Kyiv, in particolare i letali droni Bayraktar TB2, ma non ha aderito alle sanzioni  alla Russia. Pertanto, anche se è lecito pensare che a Mosca non ne siano entusiasti Erdogan è necessario all’economia russa come alternativa ai canali commerciali interdetti dalle sanzioni: da maggio a luglio del 2022 le esportazioni turche in Russia sono cresciute del 46 per cento rispetto all’anno scorso, segnalando che la Turchia è diventata una piattaforma per le aziende che aggirano sanzioni.

Gli alleati occidentali inizialmente hanno accettato la situazione, ma sono sempre più a disagio. Ad agosto cinque grandi banche turche erano entrate nel Mir (il sistema di pagamento russo), ma lunedì le due più grandi tra queste ne hanno sospeso l’uso a seguito delle pressioni statunitensi. La tolleranza nei confronti dell’equilibrismo e della doppiezza turca si sta esaurendo. Intanto, nonostante Erdogan si  muova da un tavolo all’altro della scena internazionale, la Turchia è afflitta da problemi economici enormi che hanno messo in discussione le prospettive di un paese che  non sembra aver incassato il dividendo economico di tanta astuzia.

Se le economie occidentali sono sconvolte dall’impennata dei prezzi più alta degli ultimi decenni, le imprese e i consumatori turchi devono far fronte a un’inflazione dell’80 per cento. Gran parte dei problemi arrivano dall’ingerenza di Erdogan nella politica monetarie della banca centrale turca, alla quale non solo viene impedito di alzare i tassi d’interesse, ma addirittura viene ordinato di tagliarli. Contro ogni logica economica. La giovane età della popolazione attiva e l’accesso ai mercati stranieri hanno permesso al paese di continuare a crescere nonostante le crisi, ma il pil pro capite è sceso da un picco di 12.600 dollari nel 2013 a 9.600 l’anno scorso.

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