editoriali
Chi ha una moneta per Erdogan?
È a corto di denaro e va a Samarcanda col cappello in mano. Putin può aiutarlo
Mentre all’estero si atteggia a fare il leader che siede a più tavoli nelle vesti dell’arbitro, ma sempre capace anche di esercitare il pugno di ferro, in patria Recep Tayyip Erdogan non attraversa un periodo facile. E’ rimasto senza soldi, ha una moneta sempre più debole ed è costretto a importare più beni – soprattutto il gas – di quanto sia in grado di esportarne. Come se non bastasse, fra meno di un anno ci saranno le elezioni e i sondaggi sono poco clementi. Per risolvere le sue grane interne stavolta a Erdogan non basta annunciare qualche guerra contro i terroristi del Pkk. Piuttosto, occorre più denaro. Perciò, il summit di Samarcanda di questi giorni vede il presidente turco impegnato in un tour de force di bilaterali e strette di mano con chi fra i disallineati rigorosamente non liberali sia pronto a fargli un prestito. Con grande risentimento degli alleati della Nato, in questo momento il migliore amico della Turchia è Vladimir Putin. La Russia è il primo partner commerciale di Ankara, soprattutto per le forniture energetiche. E’ con lui che a Samarcanda si va cementando un asse che si era già rafforzato a Teheran lo scorso luglio, nel vertice a tre con l’Iran.
La Banca centrale turca ha necessità di valuta estera e con un disavanzo che nei primi otto mesi dell’anno ha superato i 40 miliardi di dollari e un fabbisogno energetico annuale che supera gli 80 miliardi di dollari, a Erdogan vanno bene anche i rubli che Putin ha da offrire. Il metodo è semplice: Gazprombank attiva linee di credito in rubli a tassi iper agevolati, che i turchi usano a loro volta per comprare il gas da Gazprom. Gli americani sanno dell’escamotage che aggira le sanzioni, ma tant’è. E non è tutto. Nell’ultimo mese in Turchia è successa una cosa strana: hanno cominciato a spuntare capitali di origine sconosciuta – oltre 24 miliardi di dollari – che in parte hanno attenuato il problema valutario. Non si sa da dove arrivi questo denaro, si sa solo che da qualche tempo Erdogan vede una luce in fondo al tunnel. Sul Financial Times, Timothy Ash, del fondo BlueBay Asset Management, parlando del settore bancario turco ha detto di “sentire odore di influenza russa”.
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