Christopher Gibbs nella sua abitazione di Tangeri

Amici gay che sognate matrimoni e figli, uscite dalle palestre e andate a Tangeri

Costantino della Gherardesca

Tra Christopher Gibbs e Pechino Express, per scoprire questa Jurassic Park della froceria irredenta

Mesi fa mi trovavo a Tangeri, la stessa città da cui proprio stasera partirà la nuova edizione di Pechino Express. Le riprese non erano ancora iniziate a pieno regime e avevo ancora un po’ di tempo libero per girovagare in quel luogo che per tanti anni era stato un polo d’attrazione per le menti migliori della froceria internazionale. Lontanissima dal comfort e dal divertimento dell’ipertrofica Marrakech, oramai meta prediletta degli omosessuali mainstream, Tangeri è un posto che si abbandona con infinita grazia alla sua perenne rovina e porta su di sé le tracce di mille influenze culturali: dai bizantini ai romani, dagli arabi agli inglesi, dai fenici ai vandali, da queste parti ci sono passati proprio tutti. Alcuni in cerca di tesori, altri, più semplicemente, per non avere rotture di coglioni.

 

Da quando nel 1947 vi si stabilì il compositore e scrittore americano Paul Bowles (seguito l’anno dopo dalla moglie, la drammaturga Jane Sydney Auer), Tangeri divenne un punto di ritrovo per tutti quelli che non potevano vivere apertamente la propria diversità nel Vecchio Continente o nella puritanissima America. Gli stessi coniugi Bowles, infatti, erano una coppia molto sui generis: dopo aver viaggiato in Europa, Sud America e Nord Africa, abbracciarono completamente la propria omosessualità e scelsero di scopare esclusivamente fuori dal matrimonio, decisione di grande saggezza e lungimiranza che permise ai due di restare uniti (e profondamente legati) fino alla morte di Jane.

 

I Bowles furono tra i primi ad accorgersi del potenziale di questa città. Qui anche due artisti che avevano già dilapidato i patrimoni di famiglia potevano permettersi di vivere da signori. In breve tempo la coppia attirò in questo luogo di splendida decadenza tutte le personalità dell’emergente scena beat statunitense: da William Burroughs (che proprio a Tangeri scrisse Il pasto nudo) a Jack Kerouac, da Peter Orlovsky ad Allen Ginsberg. A rinforzare le fila di questa invasione gentile ci pensarono gli inglesi che, nel pieno della Swinging London, scelsero il porto marocchino come patria d’elezione. Capofila di questa nuova ondata di occidentali fu Christopher Gibbs, dandy, antiquario, arredatore ed esteta il cui appartamento londinese fu set per alcune scene di Blow up di Michelangelo Antonioni e Lucifer rising di Kenneth Anger. Amico di Mick Jagger e Marianne Faithfull, Gibbs fu set designer di Performance di Roeg e Cammell, in cui il cantante dei Rolling Stones recitò come protagonista al fianco di Anita Pallenberg e James Fox.

 

Ho avuto la fortuna di incontrarlo, rapidamente, proprio in quei giorni di pausa prima delle riprese. Ero a una cena organizzata nel ristorante Casa d’Italia, un’istituzione che da decenni opera nelle mura di quello che un tempo era il Palazzo delle Istituzioni italiane di Tangeri. Gibbs era ormai in fin di vita (sarebbe morto di lì a poco, il 28 luglio, poche ore prima di compiere ottant’anni) e non mi sarei mai permesso di disturbarlo, sennonché uno dei suoi commensali, Umberto Pasti, uno dei più grandi botanici e garden designer del pianeta, mi ha riconosciuto.

 

“Ehi, ti conosco, sei quella stronza che fa televisione?”. E poi, rivolto verso Gibbs: “He’s a Queen from Italian television.”

 

A quel punto ho scambiato quattro chiacchiere con Pasti e con quel che restava di Christopher Gibbs.

 

Con la morte di Gibbs se n’è andato il pezzo principale della comunità expat tangerina. Lui, l’uomo che ha saputo coniugare alla perfezione eleganza e trasandatezza creando i look bohémien che segnarono la fine degli anni Sessanta, era il nume tutelare di quella cerchia che, nel corso degli ultimi decenni, ha visto sparire uno dopo l’altro tutti i suoi punti di riferimento: i beat, gli esteti e i dropout occidentali che qui hanno messo radici, ormai vanno tutti per i settanta. A tenere ancora in piedi questa magnifica Jurassic Park della froceria irredenta – allergica al fitness come ai passeggini – ormai restano pochi coraggiosi eroi come Hamish Bowles (nessuna parentela con Paul), la firma per eccellenza del giornalismo di moda, che proprio questa estate ha organizzato una festa faraonica in uno dei luoghi simbolo della città, “Dar Sidi Hosni”, la residenza di Barbara Hutton (1912-1979), storica ereditiera dalla travagliata vita sentimentale e madrina della scena che Gibbs aveva contribuito ad animare, quella stessa comunità che oggi rischia di sparire, sia per ragioni d’età, sia perché il Marocco di re Mohammed VI – così votato all’espansione economica e al progresso tecnologico – è un posto sempre meno ospitale per questa gente che guarda con orrore a mete turistiche come la sempre più sviluppata Marrakech. Tangeri, infatti, rischia di fare la stessa ingloriosa fine di San Francisco, ormai invasa dai nuovi ricchi della Silicon Valley: quelle che un tempo erano le capitali queer della Terra, si stanno sempre di più sanitizzando, perdendo così tutto il loro fascino proibito.

 

Se penso a tutti i miei amici omosessuali che sognano matrimoni, figli e battesimi, mi verrebbe voglia di strapparli alle palestre in cui si sono rinchiusi per obbligarli a un soggiorno/corso di formazione in Marocco. Basta crossfit! I giovani finocchi italiani devono lasciare i loro bilocali in Brianza e fare quello che – ancora oggi – fanno i loro coetanei dell’aristocrazia inglese: rubare i soldi ai loro genitori e comprarsi una bella palazzina fané nel cuore di Tangeri, una villa anni Trenta-Quaranta che cade a pezzi in cui riscoprire i veri valori dell’omosessualità. Per loro niente wi-fi né servizio a bordo piscina come nei migliori hotel di Marrakech: quelle comodità se le meritano solo quelli come me, vecchie stronze che sanno ancora distinguere una poltrona Chippendale da uno sgabello di Kartell.