Screen da Youtube

La tragedia nella tragedia

Fred Dewilde, il sopravvissuto al terrore del Bataclan si è tolto la vita domenica

Giulio Meotti

Il 53enne non è riuscito a riprendere il lavoro di medico e ha canalizzato la sua angoscia attraverso l'arte, creando disegni che riflettevano l'orrore della tragedia: è stato trasformato dai jihadisti in una "cattedrale pallida" di sangue e morte

Fred Dewilde diceva di non aver mai veramente lasciato la fossa del Bataclan. 58 anni, Dewilde domenica si è tolto la vita, “travolto dalla violenza dei traumi contro i quali ha combattuto con coraggio, talento e generosità, da quella disastrosa sera del 13 novembre 2015”, scrive la famiglia. Dewilde è finito come Shanti De Corte, la ragazza scampata all’attentato di Bruxelles che ha chiesto al Belgio di ottenere l’eutanasia per i traumi subiti. Quella sera, Dewilde non ha avuto il tempo di scappare come hanno fatto altri (ma non Valeria Solesin). Per due ore ha aspettato la polizia e i servizi di emergenza, giacendo a terra macchiato del sangue delle vittime. “Ha detto che quella sera era morta una parte di lui”.
 

Medico di professione, Dewilde non ha potuto riprendere il lavoro, così ha riversato nei disegni l’angoscia. Fred il sopravvissuto e Fred la vittima (la 133esima vittima degli attentati del 13 novembre) erano diventati Fred l’artista. È il terzo sopravvissuto a essersi ucciso. Oltre ai tre figli, lascia tre libri, tutti segnati dal buco nero del teatro che prende il nome dall’operetta di Offenbach: “Mon Bataclan, vivre encore”, “Conversation avec ma mort” e “La Mort émoi”. Durante il processo per l’attentato al Bataclan, l’ufficiale di polizia giudiziaria Patrick è il primo a testimoniare. “Era come la zona di un incidente aereo. Su alcune vittime saranno ritrovati i documenti di altre, perché le persone cadevano l’una sull’altra e l’unica cosa che si sentiva erano i cellulari delle vittime che squillavano”. “Camminiamo nel sangue coagulato, nei pezzi di denti, telefoni che vibrano” raccontò un altro poliziotto. “Borse, zaini. Corpi, corpi, corpi. Corpi aggrovigliati l’uno contro l’altro”. Questo l’orrore disegnato da Dewilde. “Volti irriconoscibili, denti esplosi”. Nei servizi igienici vicino alla fossa, grandi striature di sangue indicano che le vittime hanno cercato di rifugiarsi lì. L’investigatore racconta: “È indescrivibile, ma bisogna descriverlo. Era un’atmosfera cupa, fredda, c’era una luce bianca che rendeva tutto pallido e che dà l’aspetto di una cattedrale”.
 

Antoine Leiris, marito di una delle vittime degli attentati del 13 novembre, in “Non avrete il mio odio” dirà di provare “compassione” per chi ha ucciso sua moglie. Dewilde non aveva che la sua vita. Al processo, l’investigatore accorso tra i primi sul luogo della strage dirà: “La fossa è la zona più macabra, la più sanguinosa, con 41 vittime”. Da domenica, una di più.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.