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Lo spettacolo antisemita al teatro Bataclan di Parigi

Redazione

L’urlo "Free Palestine" in uno dei luoghi del dolore francese è "una profanazione", secondo molti utenti social. "Queste persone non hanno rispetto per le vittime che sono morte lì dentro", ha reagito Patrick Jardin, padre di una vittima dell’attentato di nove anni fa

Nel luogo dove il 13 novembre 2015 un commando di jihadisti ha assassinato 90 persone, il pubblico che lo scorso 10 febbraio assisteva al concerto del duo siro-tedesco Shkoon ha urlato “Free Palestine, Free Palestine”, mentre risuonava “Yamma mwel el hawa”, una canzone palestinese il cui testo recita: “Preferirei essere accoltellato che vivere sotto il giogo dei farabutti” (gli israeliani, ndr). Al Bataclan, la sala concerti che nove anni fa è stata teatro di uno dei peggiori massacri della recente storia francese, è andato in scena uno spettacolo raccapricciante, “una profanazione” secondo molti utenti che su X hanno commentato il video che testimonia l’accaduto. “Queste persone non rispettano nulla, non hanno rispetto per le vittime che sono morte lì dentro”, ha reagito Patrick Jardin, padre di una delle vittime dell’attentato del Bataclan. A suscitare ulteriori polemiche è il fatto che all’origine della diffusione del filmato ci sia la moglie di un giornalista del Monde, perseguita dalla giustizia per aver pubblicato il disegno di un parapendio la sera del pogrom del 7 ottobre.

 

 

“L’alto luogo del dolore francese provocato dalla barbarie islamista, occupato dai sostenitori di Hamas. Il tutto celebrato da Muzna, sposa palestinese di Benjamin Barthe, caporedattore del Monde responsabile del medio oriente, perseguita per aver festeggiato il 7 ottobre. Tre simboli in uno”, ha commentato indignato l’avvocato francese Gilles-William Goldnadel. Come ha scritto la direttrice del magazine Causeur, Élisabeth Lévy, “Free Palestine”, letteralmente, non ha nulla di scioccante: è legittimo difendere l’esistenza di uno stato palestinese. Ma è il contesto in cui quello slogan è stato emesso a rappresentare il vero problema. Perché “nel contesto attuale”, sottolinea a ragione Lévy, “non significa liberate la Cisgiordania e Gaza (che non è più occupata) in conformità con la risoluzione dell’Onu, ma liberate la Palestina dal fiume al mare. Detto in altri termini: distruggete Israele”.

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