Un'opera della fotografa

Arte

Il tempo rivelatore si mostra a Venezia nello splendido atrio di Palazzo Fortuny

Giacomo Giossi

Fontcuberta trasforma l’invisibile in visibile nella mostra fotografica "Cultura di polvere", dove il deterioramento del corpo e della mente fa emergere quello che si tende a nascondere

"Le mie rughe fanno parte del mio sguardo" ha detto in una recente intervista Charlotte Rampling. E dopo tanta alta definizione, dopo l’ossessione per filtri e pulizia e per un’aderenza chirurgica (e plastica) a un se stesso immutabile, ecco che la contemporaneità bussa alle porte in maniera totalmente inaspettata. Perché essere contemporanei significa, oggi più chiaramente di ieri, essere portatori attivi di memoria. Una mutazione in perenne evoluzione, un decadimento certamente continuo e inevitabile, ma capace di contenere una verità e un significante ancora poco esplorati. Pezzi sparsi di una sensibilità sempre più diffusa che va dalla dismissione ormai frequente di filtri e di trucchi e parrucchi (se non in maniera ostentata e squisitamente giocosa) in cambio di un corpo nuovamente visibile anche nelle sue naturali e ricercatissime imperfezioni. Fino a un riemergere – non poi più così tanto di nicchia – del mercato dei vinili con i suoi riti esoterici fatti di fruscii e di raffinatissime meccaniche
 

Quello che apparentemente o almeno inizialmente è parso come un atteggiamento nostalgico ora si sta rivelando sempre più come una forma di rifiuto dell’onniscienza digitale che non viene ripudiata per rinchiudersi in una riserva indiana tutta analogica, ma ridefinita nei suoi spazi. È in atto una ricerca del sensibile e del sé in un momento in cui la fisicità degli spazi pubblici e politici segna drammaticamente il passo. Nuove forme d’indagine, vere e proprie esplorazioni che prendono vita e forma nell’ultimo lavoro di Joan Fontcuberta, “Cultura di polvere”,  esposto a Venezia nello splendido atrio di Palazzo Fortuny.
 

Nato da un lavoro di ricerca nell’ambito del programma Artisti in residenza a cura di Francesca Fabiani per l’Istituto Centrale per il catalogo e la documentazione, Culture di polvere è la risposta all’iniziale domanda di Fontcuberta alla curatrice del progetto: “Avete del materiale fotografico in pessime condizioni?”. Perché proprio dal deterioramento prende avvio il lavoro del fotografo e artista catalano. Fontcuberta ha concentrato la sua attenzione attorno ad alcune lastre fotografiche deteriorate, negativi su vetro riletti partendo certamente da Elevage de poussière del 1920 di Marcel Duchamp e Man Ray, ma con l’obiettivo di andare oltre. Un’ispirazione surrealista che porta Fontcuberta in un realismo contemporaneo potente che si attua attraverso la trasformazione di queste lastre in grandi light box. Là dove la manipolazione riguarderebbe un’azione di restauro e di ripristino, là dove l’immagine fotografica richiederebbe una radicale manipolazione per ripulirla dall’usura e dalle imperfezioni del tempo, Fontcuberta capovolge radicalmente i termini del discorso trasformando l’invedibile in visibile. Esaltando le imperfezioni e il lavorio del tempo l’artista offre al visitatore un’immagine inedita, una prospettiva sul reale che muta la realtà trasformando i confini di un’immagine apparentemente inservibile in una forma di testimonianza vivente del contemporaneo.
 

Cultura di polvere nella sua semplicità espositiva sembra anche richiamare al passato recente di Palazzo Fortuny e del suo museo che sul passaggio del tempo che offriva sul corpo di un palazzo veneziano ha regalato significative mostre temporanee (e giustamente effimere). Un’esposizione che rilegge la bellezza nei suoi aspetti marginali, là dove il tempo incide con la propria violenza regalando, come spesso accade anche in tutta Venezia, un senso di struggimento, ma anche di riconoscibilità. Un potente ritratto del nostro tempo che arriva dal passato rivelandoci aspetti ancora ignoti del nostro stare al mondo. 

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