senza etichetta

L'inclassificabile Beckett, di cui non resta traccia neppure nelle bancarelle

Giulio Silvano

L’indifferenza e l’abbandono italiano di Beckett può avere a che fare con la sua mancanza di una precisa etichetta. Ora il Meridiano "Romanzi, teatro e televisione" diventa un modo per avere a disposizione testi come "Murphy" o "Finale di partita"

Ci sono due scrittori che non hanno accettato il Premio Nobel, il primo è Boris Pasternak, obbligato dalle autorità sovietiche, il secondo è Jean-Paul Sartre, che non voleva essere “istituzionalizzato”. Anche Samuel Beckett pensò per qualche giorno di declinare, anche perché al suo eroe e compatriota, James Joyce, quel premio non era mai stato dato. Quando nel 1969 Beckett riceve la notizia del Nobel, i giornalisti lo raggiungono in Tunisia e lui non sa come gestire l’attenzione. Manderà poi il suo editore Linden a Stoccolma a ritirare il premio. “Successo e fallimento da un punto di vista pubblico non hanno molta importanza per me, anzi mi sento più a casa col secondo, avendo profondamente respirato la sua aria vivificante in tutta la mia vita di scrittore fino all’ultimo paio d’anni”, dice Beckett nel 1953. 


Nonostante la gloria, e il riconoscimento dell’Accademia di Svezia, Beckett non è mai stato un autore con un grande successo di pubblico, nessun bestseller, niente grande exploit al botteghino, nemmeno con il suo Waiting for Godot diventato poi così citato. “Si può dire che nel corso del tempo Samuel Beckett – le cui date estreme (1906-1989) coincidono con quelle del ‘secolo breve’ individuate da Eric Hobsbawm – abbia sfondato il muro di studi che sempre di più lo ha circondato, per diventare una vera e propria icona pop”, scrive Gabriele Frasca, che ha curato il Meridiano uscito per Mondadori. Le foto di Beckett le troviamo appese nelle librerie, così come sue citazioni, a Parigi vendono cartoline con la sua faccia con le rughe profonde e gli occhi di ghiaccio. I suoi libri li troviamo in bancarelle e librerie, ma non in Italia, dove è praticamente quasi tutto fuori catalogo. Così il Meridiano dal titolo Romanzi, teatro e televisione, oltre che celebrazione postuma, diventa un modo per avere a disposizione testi come Murphy o Finale di partita, o il romanzo Watt che fino a ora per leggerlo in italiano lo si doveva prendere usato nell’edizione Einaudi su eBay, a circa 90 euro. 


Si potrebbe pensare che l’indifferenza – se non verso l’immagine pop – e l’abbandono italiano di Beckett abbia a che fare con la sua mancanza di una precisa etichetta. Beckett è inafferrabile, nei contenuti e nei media che utilizza per raccontarli. E anche nella sua identità linguistica. E al pubblico italiano, abituato a scrittori iscritti ai partiti, a scrittori editorialisti, piace invece molto chi ha un’identità precisa nello spettro ideologico (ci si spiegherebbe allo stesso modo la noncuranza per Balzac – era un cattolico sovranista e monarchico o un liberale decifratore dei vizi dei potenti? O quella per l’Orwell saggista). L’inafferrabilità di Beckett è dimostrata nel modo in cui fu apprezzato per motivi diversi sia dal critico Harold Bloom, che lo inserì nel suo breve canone occidentale, che dal francese Maurice Blanchot. Se per Bloom l’irlandese segue la tradizione che parte da Shakespeare, per Blanchot è invece qualcuno che la sovverte. Molti, in Italia, non vedevano negli scritti di Beckett quell’arte impegnata che nel secondo Novecento era il via libera per esser presi sul serio. Ma l’impegno di Beckett era certamente più alto di così. E ognuno leggendo i suoi testi potrà mettere le etichette, o non metterle, dove preferisce. 

 
Tra le altre mille cose che vengono fuori dal volumone, c’è il lavoro che Beckett fece nel Dopoguerra per la televisione e, come nota il curatore, “il miracolo delle pièce televisive di Beckett non è certo quello di aver incontrato il favore del grande pubblico, perché così non fu, ma di avere sollecitato nei funzionari delle emittenti interessate un atteggiamento addirittura innovativo, perché anticipava di fatto quello che sarebbe accaduto da lì a una ventina d’anni, vale a dire la fine della tv generalista e l’attenzione sempre più parcellizzata alle cosiddette ‘nicchie’”. Ecco, Beckett, con il suo elegante vagabondaggio mediale, con il suo interesse per la lingua – scrisse sia in inglese sia in francese – appare a leggerlo oggi un innovatore, anche nell’aver previsto alcune assurdità del reale. 

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