Alla 50esima Arte Fiera di Bologna con Lia Rumma. "Arte e cultura sono immortali. Ma è il dialogo che ci fa vivere"

Giuseppe Fantasia

A tu per tu con la più importante ed amata gallerista d’arte italiana. "Anche il mercato dell'arte è scosso dalle burrasche internazionali, ma resta stabile la nostra capacità di credere in ciò che proponiamo"

Gli anni Settanta, una coppia di giovani collezionisti di Salerno - Lia e Marcello Rumma – che decisero di promuovere insieme mostre ed eventi con protagonisti una nuova generazione di artisti. Su tutte, Arte Povera più Azioni Povere del 1968, a cura di Germano Celant, la prima mostra pubblica di Arte Povera e il primo importante momento di internazionalizzazione dell’arte. I due riuscirono persino a fondare una casa editrice - la Rumma editore - e a raccogliere successi (anche) collezionando, ma soprattutto osando, esponendo e vendendo, creando connessioni fondamentali. Marcello però morì improvvisamente e Lia rimase sola, ma con tenacia decise di continuare quella che fu una passione prima ancora di diventare un lavoro. Si trasferì così a Napoli e nel 1971 aprì una galleria d’arte con la personale L’Ottava Investigazione (A.A.I.A.I.) proposizione 6; di Joseph Kosuth, considerato oggi uno dei pionieri dell’Arte Concettuale. “Iniziò così quella che è divenuta la mia storia”, racconta oggi al Foglio Lia Rumma fissandoci con i suoi occhi scuri come il colbacco e il cappotto abbinato che indossa. Siamo a Bologna, alla 50esima edizione di Arte Fiera, direzione artistica di Simone Menegoi con il direttore operativo Enea Righi, manager e collezionista di livello internazionale.
 

Lo stand della gallerista campana – con sede a Napoli e una seconda anche a Milano in via Stilicone, aperta nel 2010 - spicca tra i 196 espositori che partecipano alla manifestazione. “Essere qui è per me un ritorno, sono contenta, perché mancavo da un po’ di anni – aggiunge - l’ho riscoperta, è davvero ben organizzata”. Uno stand, il suo, che sembra in realtà la galleria di un museo che racconta una storia che viene da lontano, quella di una figura di spicco del mondo dell’arte contemporanea internazionale, una donna intelligente, caparbia e affascinante che ha fatto conoscere ai più artisti dai nomi oggi altisonanti quali Anselm Kiefer (la sua prima personale la organizzò lei nel 1992 a Napoli; a marzo sarà protagonista a Palazzo Strozzi, a Firenze), Ettore Spalletti, Marina Abramovic, William Kentridge, Alberto Burri, Vanessa Beecroft, Michelangelo Pistoletto e Thomas Ruff, giusto per citarne qualcuno.

Non deve essere stato facile avere a che fare con tutti quegli “ego”, ed è lei stessa a confermarcelo. “Non sono mai stata né una psicologa né una psicoterapeuta, come non ho mai voluto tenere a bada un artista, perché è impossibile. Ho solo e sempre pensato ad aprire un dialogo con loro perché è l’unico che garantisce la continuità di un rapporto mantenendolo in vita. Un rapporto dialettico, anche se non sempre è stato tranquillo” (accenna un sorriso, ndr). Alcuni di loro, “a cui mi lega da una grande affetto”, li ha voluti qui alla fiera bolognese, a cominciare proprio da Kosuth con cui tutto ebbe inizio in un garage in affitto a Parco Margherita, a Napoli. “Fu sold out”, ricorda lei, “e quell’emozione continuo a provarla ogni volta che ne parlo. Ce ne sono state tante altre in questi cinquant’anni di attività, ma la prima volta è indimenticabile”.

   

Kosuth è presente nel suo stand ad Arte Fiera con un’opera che è un omaggio a Virginia Woolf, “prima un riscaldamento, poi l’ora irrevocabile…”, più che mai attuale. “I tempi che stiamo vivendo sono preoccupanti”, precisa. “Se parliamo di arte, essa è un punto interrogativo e resta sempre una grande domanda. Se invece parliamo del mercato dell’arte, tutte le cose che stanno accadendo non aiutano di certo a renderlo stabile. Come in tutti i momenti influenzati da eventi negativi, il mercato è fluttuante: ci sono alti e bassi, ma resta stabile la nostra capacità di credere in ciò che proponiamo. Dico sempre: se non è oggi sarà domani”. 
 
Ma il domani, come sarà? “C’è sempre del timore, questo sì, ma la cultura e l’arte non potranno mai essere soppresse e vivranno al di sopra di tutti i problemi che ci circondano ogni giorno. La cultura è necessaria per combattere l’ignoranza, la causa di tutti i mali”.
  
Qui a Bologna ha portato anche Giuliano Dal Molin, Paolo Icaro, Luca Monterastelli e Gian Maria Tosatti, già protagonista del Padiglione Italia all’ultima Biennale d’Arte di Venezia e attuale direttore della Quadriennale di Roma. “Tutti questi lavori nello stand hanno sempre dei riferimenti precisi che puntano all’arte, su cosa sia, a cosa serva, cosa rappresenti. La mia è comunque sempre una scelta estetica, ma anche e soprattutto fatta rispettando un pensiero comune. Sento sempre una responsabilità in quello che faccio ed è molto forte. Cerco di essere sempre molto attenta e quando scelgo un artista è una cosa immediata basandomi sulla mente, la storia, il piacere personale, la simpatia. Come nella coppia, oggi va bene, domani chissà, il dialogo, ripeto, è fondamentale. Quando un artista prepara una mostra sono lì con lui, il sostegno da più punti di vista è fondamentale”. Poi, così, con la stessa rapidità con cui ci ha concesso l’intervista, ci saluta e se ne va e c’è un motivo. Sono  arrivati due di dei suoi artisti con cui ha appuntamento “e nessuno nella vita si fa mai aspettare”.