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Il colore “Bluets”

Da Maggie Nelson un testo filosofico che sfida la percezione del colore blu

Giacomo Giossi

La scrittrice di San Francisco ha costruito un libro per brevi paragrafi numerati che raccontano la sua ossesione per il blu, tra saggio e autobiografia. Da leggere con la giusta lentezza e anche alla giusta distanza

“Bluets” del 2009 è il terzo libro della prolifica scrittrice americana Maggie Nelson, ora tradotto efficacemente da Alessandra Castellazzi che per l’editore Nottetempo ha portato a termine una sfida decisamente non banale. Il libro si sviluppa all’interno di un pensiero multiplo che comprende sia un’analisi saggistica sia una riflessione autobiografica così come un discorso narrativo che rappresenta il filo – spesso invisibile – attorno al quale biografia e pensiero si intrecciano vorticosamente pagina dopo pagina. 

“Bluets” è un testo che va letto con la giusta lentezza e anche alla giusta distanza perché il rischio di perderne la messa a fuoco è facilissimo e anzi fa parte per certi versi di una tendenza voluta della narrazione  a carattere meditativo offerta da Maggie Nelson. La prosa poetica della scrittrice di San Francisco è infatti un impasto denso di visioni poetiche alternate a enunciazioni filosofiche che si condensano all’interno di una scrittura fortemente evocativa che vive di un continuo e sfidante contrappunto. Proprio questo movimento mimetico dà forma a una narrazione seducente che accompagna il lettore all’interno di mondi interiori inediti. La voce di Nelson dà corpo a una  narrazione da meditazione in grado di generare visioni e sguardi tanto rimossi quanto improvvisi nel lettore, sempre che si abbia la pazienza di concedere fiducia e ascolto a una scrittura non lineare quanto mai ovvia.

Costruito per brevi paragrafi numerati, il libro di Nelson lavora attorno a un’ossessione, quella per il colore blu, il quale varia paragrafo dopo paragrafo le proprie tonalità accompagnando il crescere e il timbro di una scrittura che lavora attorno a un mistero: un delitto ipotetico difficile da identificare e anche da riconoscere nelle proprie dinamiche, ma che ha lasciato segni (e sintomi) chiari.

L’ossessione diviene di volta in volta malattia, ma anche innamoramento, desiderio, ma anche il luogo di un’improvvisa paura e di un’ansia sconvolgente e incontrollabile. Intervengono pagina dopo pagina, come testimoni di un’allucinazione tanto comune quanto inevitabile, alcuni degli autori che più hanno affrontato il blu mettendolo in relazione direttamente con la propria esistenza. Sopra tutti troneggiano i dioscuri del blu: Derek Jarman e Ludwig Wittgenstein legati l’uno all’altro a doppio filo. Ovviamente non può mancare Goethe, il Virgilio di un viaggio dai colpi di scena continui. Più che riferimenti, Jarman e Wittgenstein, ma anche Pastoureau, Sebald e Artaud rappresentano dei rifugi possibili così come degli avamposti posizionati tra uno stato emotivo e l’altro. Passione e quindi sesso: non manca il riferimento (quasi banale) al viagra, la magica pastiglietta blu che oltre che garantire un sicuro risveglio sessuale, offre in cambio, come controindicazione (ma non siamo sicuri che sia proprio tale) una visione virata blu tenue, colpa si dice di una proteina che abita nell’organo sessuale maschile così come nella retina dell’occhio.

“Bluets” è un testo filosofico seducente che sfida la percezione del colore blu e la sua essenza quale elemento epico di una cultura che dal romanticismo fino agli studi analitici è attratta e respinta, ossessionata e ammaliata dal suo senso e significato. Maggie Nelson ha la qualità rara di offrire quello che è un turbinio emotivo e mentale nella forma di un testo narrativo che fa della propria scrittura piana un elemento di chiarezza e di forza fondamentale, utile per accogliere e spiegare la mappa che compone fino a oggi la percezione di un colore magico.

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