"Il sacrificio d’Isacco" di Michelangelo

Mostre

Il Natale è anche una questione di padri, basta guardare Michelangelo

Maurizio Crippa

"Il sacrificio d’Isacco", in mostra a Lecco, è un capolavoro per l’oggi che rivela la forza di un dramma e di una promessa, sfidando la banalizzazione della figura paterna. L'artista rinascimentale cattura la domanda eterna: com'era il volto del Dio?

“O vecchio, com’era il volto del Dio? / Forse un lenzuolo di sangue? / o una roccia nera, cratere in fiamme?”. I versi di David Maria Turoldo sono una drammatica domanda rivolta ad Abramo e contengono il tormento di un uomo di fede del tempo moderno. Senza parole e solo col tratto possente della matita nera, la stessa domanda esplode, modernissima, nel disegno di Michelangelo: Abramo guarda negli occhi l’angelo, un close-up drammatico, pochi centimetri soltanto tra l’uomo e il mistero. È l’angelo che gli sta ordinando di fermare il coltello, non uccidere tuo figlio. “Il sacrificio d’Isacco” è un disegno di Michelangelo conservato a Firenze nel Museo di Casa Buonarroti, poco noto e quasi mai esposto nonostante storici dell’arte come Bernard Berenson lo considerino “uno dei più interessanti schizzi della maturità di Michelangelo”. Anzi, sono due disegni: il foglio è disegnato da entrambi i lati, due appunti sullo stesso soggetto. Ma il particolare che più colpisce sono quegli occhi, il padre e l’angelo, messaggero del Padre. A tu per tu: il dramma del dare la vita, e dell’obbedire a un Dio di cui ci si può chiedere solo “com’era il volto del Dio?”.

Nella sdolcinata melassa di pandori natalizi che ha tolto sapore a ogni senso della nascita, della maternità e ancor più della paternità, il capolavoro di Michelangelo fa sobbalzare come una frustata. Travolti da padri inesistenti o che non fermano il coltello; sommersi da patriarchi e patriarcati spesso evocati a vanvera, “il mistero del Padre”, è il titolo della mostra, è perso. E a evaporarlo non sono le stupidaggini corrette (non blasfeme, solo banali) dei filmini di Ficarra e Picone o dei messaggi social di qualche partitino. Ad allontanare il segno del padre, di ogni paternità, è il dramma che si porta appresso. E che Michelangelo ha colto in quegli occhi.

Così benissimo hanno fatto a Lecco a proporre per Natale (ma la mostra al Palazzo delle Paure rimane fino al 3 marzo 2024) una riflessione sul padre: “È possibile entrare nella festa del Natale anche per questa strada?”, si è chiesto don Davide Milani, poliedrico prevosto di Lecco, innamorato della cultura e presidente dell’Associazione culturale Madonna del Rosario che, assieme al comune, organizza (siamo al quinto anno) l’iniziativa “Un capolavoro per Lecco”. “Tradizionalmente leghiamo la Natività di Gesù alla Madre, a Maria”, scrive presentando la mostra. Ma “quel bambino è il figlio di Maria, ma è anche figlio di suo padre: del Padre celeste, in modo unico e insuperabile; di Giuseppe, padre terreno in una forma originale”. Tolta tutta la melassa e le banalizzazioni, c’è in quella Nascita la forza di un dramma ma anche di una promessa: si può essere padri e madri di qualcosa “che è buono”. Ricorda Milani che quel figlio, Isacco, nell’etimo del nome “indica il sorriso della benevolenza di Dio”. Così si spiegano gli occhi fissi di Abramo in quelli dell’angelo, la sua domanda che precede un inaspettato nuovo sorriso, il sacrificio non ci sarà. Il disegno di Michelangelo, realizzato intorno al 1530, nella piena maturità, secondo i critici già preannuncia la tormentata potenza del “Giudizio” della Cappella Sistina, a cui l’artista inizia a lavorare nel 1534. “La matita nera è usata con una libertà da maestro, ogni tocco è essenziale, senza artifici o eccessive elaborazioni, niente è omesso”, scrive Berenson. Val la pena vederlo, questo sconosciuto capolavoro, che però in mostra non è solo, ci sono altre interpretazioni dello stesso episodio biblico: una tela del secentista Giuseppe Vermiglio, oggi alla Fondazione Gastaldi Rotelli di Milano, e le copie di due formelle realizzate nel 1401 da Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti per aggiudicarsi la commessa della Porta nord del battistero di Firenze. Ma il dramma di quel rapido disegno di Michelangelo vale il viaggio nella città manzoniana (e dire che, nei “Promessi sposi”, di padri non ce ne sono, anzi solo uno cattivo). Dice don Milani: “Credo che rimettere al centro il ruolo del padre sia un messaggio di grande attualità”. 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"