Una mostra di Mueck - Foto Ansa

Arte

La mostra di Mueck in Triennale è puro artigianato della banalità

Francesco Bonami

Cos'è successo all'artista? Confronti con la mostra alla Biennale del 2001: il tocco del maestro è oggi meno "instagrammabile" e invecchiato male

Alla Biennale di Venezia del 2001 all’entrata delle Corderie dell’Arsenale, immagine simbolo della mostra, troneggiava il gigantesco Boy accovacciato dell’artista australiano Ron Mueck. Direttore di quella Biennale era il mitico Harald Szeemann, quello che ha inventato lo pseudo ambiguo lavoro del “curatore” di arte contemporanea

A Szeemann, guru indiscusso della nostra professione, tutto era concesso, poteva mettere in mostra chi voleva, persino la moglie con un finto nome cinese, Ying Bo, figuriamoci Ron Mueck che a quei tempi era una star collezionata da gente come Charles Saatchi, burattinaio del mercato dell’arte, in particolare quella britannica. Fast Forward. Eccoci al 2023. Triennale di Milano, mostra di Mueck a cura della Fondazione Cartier di Parigi. Il bambinone Mueck è invecchiato male e la mostra è povera di opere e di contenuti, non è nemmeno cosi instagrammabile, nonostante lo sembri. Di questi tempi se uno critica una mostra gli viene risposto o che la gente si fa un sacco di selfie o che piace ai bambini. Per stare tranquillo ho quindi portato con me mia figlia di 12 anni. Non è piaciuta neanche a lei e non ha voluto nemmeno farsi un selfie. L’ho obbligata io a farsi fotografare con la donnona depressa oversize, frutto del complesso dell’adipe più che di Edipo, nella stanza dei teschi giganti – terribili ma non macabri – e con dietro il piccolo feto neonato sia macabro che terribile. A lei sono piaciuti, prevedibilmente, i grandi cani neri, contraddicendomi e confermando che i bambini non capiscono nulla di arte.

A questo punto mi chiederete che cosa sia successo al Mueck star dell’inizio del millennio. Nulla. Il Mueck del 2001 è esattamente lo stesso di quello del 2023, un artigiano della banalità. Ma allora perché Szeemann lo aveva invitato alla Biennale? Perché Szeemann da guru  non pensava mai di sbagliare ed era un mago nel giustificare in modo molto poetico sia le cantonate che le inevitabili marchette che ogni curatore deve fare per piacere al grande pubblico e agli addetti ai lavori in un colpo solo. Mercato e spettacolo assieme per creare quello che definirei l’effetto “Barnum”. Mueck è l’artista perfetto per raggiungere quel risultato. Artista cannone. Poi, comunque, i tempi e i gusti cambiano. Pure Caravaggio andò fuori moda. Ma Mueck non è Caravaggio e di moda non credo tornerà mai. Ma chi può dirlo… Perché un artista passi dall’essere meraviglia a finire nel ripostiglio, da essere pop a essere un flop, è difficile dirlo e stabilirlo, al netto di selfie e bambini. 

Se lo chiedeva anche l’intellettuale americano Seth Siegelaub al quale sempre la Triennale dedica una piccola deliziosa mostra, gratis (per Mueck ho pagato 15 euro a persona). Una mostra che non solo ripara il danno alla retina e al portafoglio prodotto dalle sculture di Mueck ma mette nero su bianco proprio quello che ci chiedevamo prima: cos’è che fa un grande artista? Cos’è che fa di un’opera un capolavoro? Bellezza? Emozione? Contenuto? Originalità? Novità? Caso? Sensibilità? Genio? Rarità? Prezzo? Chi definisce questi valori e come si creano questi giudizi? Curatori? Storici dell’arte? Critici? Artisti? Mercanti d’arte? Collezionisti? Musei? Come si fa la storia dell’arte? Quali sono i meccanismi e le regole alla base? Sono questi gli stessi ovunque in ogni momento in tutte le società e tutte le epoche? Come pensa che la storia dell’arte sia fatta? 

Domande senza risposta e che mia figlia non può capire ancora, cosi come non ha capito la mostra su Siegelaub, anche se non le è dispiaciuta. Le mostre non si devono sempre capire né devono sempre piacere. Devono però fare almeno lo sforzo  di non essere inutili, sforzo che le sculture di Mueck non sembrano fare. L’unica fatica che fanno è quella d’ingrandirsi e di rimpicciolire senza un vero motivo: non è abbastanza per rendere dell’artigianato arte.

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