La recensione

Elevazione e rivelazione. Savarese racconta il soprannaturale nel quotidiano

Antonio Gurrado

Il nuovo romanzo del magistrato napoletano, scritto in tempi non sospetti ben cinque anni fa, unisce l'esoterismo alle questioni sociali restituendoci una metafora dei nostri tempi

Per fortuna Eduardo Savarese ha iniziato a scrivere “Le Madri della Sapienza” (appena pubblicato da Wojtek) molto tempo fa, già nel 2018, nei tempi insospettabili della coalizione gialloverde, quando non erano alle viste pandemie o guerre né tampoco il governo di destra-destra guidato da una giovane donna che ambisce a coniugare innovazione e conservazione. Non trasformare i propri romanzi in instant book è il vantaggio degli scrittori che ci mettono anni, ma talvolta sono sfortunati. Nel caso di Savarese, la sorte ha voluto che il governo Meloni facesse da cornice storica all’uscita del suo romanzo su un giovane che si trova a capo del primo esecutivo di destra-destra dell’Italia repubblicana. Pazienza. Basta esplorare la trama per capire che le differenze fioccano, quindi non è l’ennesimo romanzo a tema civico. Al cospetto del privato di questo immaginario presidente del Consiglio, tutti i recenti pettegolezzi sulla nostra e reale non possono che impallidire. Suo padre è stato infatti un parlamentare progressista, riuscito nell’intento di far approvare il matrimonio omosessuale; una specie di Zan che ce l’ha fatta. Lo stesso presidente del Consiglio è nato con la gestazione per altri, è “un non-nato-da-donna”; forse per ribellione, finisce per diventare leader di una casa comune antisocialista e antiliberale, ostile perfino al populismo gretto di sovranisti e complottisti.


C’è poi un gruppo monacale costituito da laici omosessuali dichiarati e militanti – le Madri della Sapienza del titolo – la cui badessa si chiama Fernando e appare in tv vestita come Enzo Bianchi, mentre ampi settori del mondo cattolico non ne riconoscono la regola, in un’Italia spaccata fra un settentrione dalla fede micragnosa e un meridione dalla fede neopagana, per quanto accomunati dalla “ignoranza media dei cattolici praticanti” in materia religiosa. Né manca un governo di centrosinistra che si accartoccia sulle solite questioni etiche, ponendo la fiducia sul disegno di legge sull’omogenitorialità e cadendo spettacolarmente come un Prodi-bis. Ci sono tutti gli ingredienti per un romanzo politico in senso deteriore: o impegnato ad avallare una tesi arrampicandosi su una narrativa appositamente congegnata, o proclive alla pochade. Savarese, per fortuna, ha passato cinque anni a scriverlo quindi non fa nessuna delle due cose. La chiave sta piuttosto nell’esergo, che reca il passo biblico secondo cui “la Sapienza si diffonde e penetra ogni cosa”. Il problema centrale del romanzo è infatti la presenza del sovrannaturale nel quotidiano e nella struttura sociale che lo racchiude, ovvero la politica.

Nella trama, il sovrannaturale si esplica in due modi. Anzitutto con l’elevazione: ad esempio con la regola delle Madri della Sapienza che sancisce “l’irrilevanza della rigida distinzione tra maschile e femminile”, non perché neghi il dato biologico ma perché insofferente all’idea di una catalogazione dinanzi a Dio per genitali e orientamenti. È l’estensione di ciò che San Paolo diceva sul sesso, riducendolo ad adiaphora, questione indifferente; ed è il contrario dell’ossessione del gruppo fomentatissimo di femministe atee che, per questo motivo, insultano e vessano le Madri. L’altro modo è la rivelazione: è il caso della figlia del presidente del Consiglio, bambina miracolosa che ha momenti di estasi assimilabili alle “assenze” della giovane Teresa d’Avila o della mistica Angela da Foligno, finendo addirittura per combattere pubblicamente un drago in pieno Ventunesimo secolo. Rutilante paradosso per dimostrare che ancora oggi ogni azione, ogni crisi interiore o esteriore è solo un piccolo passo verso la gloria di Dio, l’apocatastasi che tutto brucia e rinnova. “Sono tempi degni della Francia degli Ugonotti”, considera a mezza voce un personaggio, e ha ragione. Solo che, abituati a ripeterci che la religione ha perso ogni presa sulla nostra vita individuale e collettiva, non ce ne accorgeremo fino alla prossima Notte di San Bartolomeo.
 

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