l'intervista

“A Gaza conflitto di una brutalità incredibile”. Parla Emir Kusturica

Giuseppe Fantasia

"Vengo da una famiglia di partigiani che ha lottato contro i nazisti: quello che vorrei è solo un mondo più giusto", dice il musicista e regista serbo, ospite del Festival Radici e autore del romanzo L’angelo ribelle, dedicato al Premio Nobel Peter Handke

Con le sue canzoni e con i suoi film – su tutti, Papà è in viaggio per affari, Underground, Il tempo dei gitani e Gatto nero, gatto Bianco che gli hanno fatto vincere numerosi premi, tra cui due Palme d’Oro a Cannes – Emir Kusturica è riuscito sempre a coinvolgere una quantità enorme di persone in tutto il mondo, affascinate e curiose di scoprire quelle musiche e quelle storie a cui facevano da sfondo, protagoniste esse stesse di un piacevole “caos danzante” piacevole per l’animo e non solo. Molti di noi non comprendevano quelle parole, ma importava ben poco, perché c’era il ritmo a compensare quella mancanza. Diverso, invece, quando si esprime a parole, in tv o durante un’intervista. È lì, in quei momenti fugaci, che il regista, musicista, attore e scrittore serbo riesce a dividere più che a unire, in alcuni casi persino ad allontanare. Qualche mese fa, ad esempio, se ne uscì con dichiarazioni sul presidente Putin, che lui conosce bene. “Chiamarlo fascista – disse - è una cosa oscena” e altre frasi che se non lo difendevano, in qualche maniera lo giustificavano. “Ho sofferto molto per questo, ma non ci posso fare nulla”, ci dice quando lo incontriamo a Torino, dove è ospite del Festival Radici organizzato dalla Fondazione Circolo dei Lettori e curato da Giuseppe Culicchia. “Il fatto di parlare in quel modo non è legato alla mia intelligenza, ma a un mio modo di essere. Se sento che è giusto dire qualcosa, la dico, ma tutto ovviamente ha un costo. Oggi, ad esempio, non mi fanno più fare film con persone in Occidente. È una punizione, lo so bene, ma non me ne pento. Mi basta chiudere gli occhi per vivere meglio”.

 

Frase, quest’ultima, che è una citazione dello scrittore Peter Handke a cui Kusturica ha dedicato L’angelo ribelle, il suo primo romanzo appena pubblicato da La nave di Teseo nella traduzione di Alice Parmeggiani. Un racconto autobiografico, adrenalinico, ma soprattutto la storia di un’amicizia tra lui e lo scrittore Premio Nobel per la Letteratura di cui Kusturica difende la libertà d’espressione, la sua arte, “e la qualità di un uomo pronto a sacrificarsi per i più deboli e a mettere a rischio la sua carriera pur di rimanere fedele ai suoi principi”. Che è un po’ quello che ha fatto e che continua a fare anche lui, “un eterno ribelle che oggi preferisce però stare in pigiama”, dice al Foglio.

 

In che senso, mi scusi?

“Ho quasi settant’anni e ho trascorso la maggior parte della mia vita dedicando molto tempo alla musica. Oggi preferisco la solitudine laddove è possibile. Una solitudine fatta di immagini, di film, di cose da fare e da provare, da vedere. Resto sempre un gitano, per carità, non amo stare fermo, sto sempre in movimento, mi sposto da un posto all’altro anche da solo. La mia è una necessita. Quando arriva però la sera, sono stanco e mi metto a letto. Leggo un po’ del libro del momento che ho scelto di leggere e verso le undici spengo la luce. Dopo tutta la vita che trascorsa fino ad oggi, lo trovo meraviglioso. Il pigiama lo indosso prima, fa parte della bellezza di quel momento”.

 

Un pigiama? Facciamo fatica a crederle. Da uno come lei ci si aspetta che dormi anche senza.

(ride, ndr) “Ha ragione, ma è mia moglie che mi costringe a farlo (ride di nuovo, ndr)”.

 

Lo sa che così sta rovinando per sempre quell’immagine ‘rock’ a cui ci ha abituati per troppo tempo?

“Lo so, spero di non deludere nessuno, ma io sono così. Amo la mia solitudine”.

 

Il suo amico Handke ha dichiarato che la sua grandezza è la solitudine.

“Non posso che essere d’accordo con lui e aggiungo anche che Stanislavksij diceva che bisogna essere bravi a gestire soprattutto la solitudine pubblica, una dimensione di vita che caratterizza l’esistenza di grandi rocker o di chi fa film. Bisogna imparare a concentrarsi per superare questa situazione di solitudine quando si è circondati da tantissime persone. Un grande come Handke – che ho avuto l’onore di accompagnare a Stoccolma per ritirare il Nobel - è riuscito a farlo. Lui è speciale, è una persona diversa e testarda. Ho letto il suo lavoro per la prima volta nel 1975 e da allora ho avuto la sensazione che parlasse nel nome del Modernismo. Se uno gli chiede chi è un grande scrittore ti dice e ti cita Wole Soyinka, primo autore africano a vincere il Nobel per la Letteratura, o il suo collega Abdulrazak Gurnah, poi però è capace di farti battute sceme e di metterti a tuo agio. Ha un punto di vista tutto suo ed è il suo bello. Vuole il particolare, lo specifico e l’unico, tutte cose che secondo me deve possedere la buona letteratura, cosa assai rara da trovare in quella europea o americana. Negli Stati Uniti gli scrittori pensano solo a farsi guidare dall’opportunismo più che dalle ambizioni letterarie vere e proprie”.

 

La felicità – citiamo sempre il suo amato Handke - e la sensazione del terrore sono delle eccezioni: lei è d’accordo?

“Certamente. La felicità è un qualcosa di momentaneo e la vera adrenalina, come dice lui, è da ritrovarsi in tutte quelle cose un po’ strane. Si pensi agli straricchi che vogliono volare in assenza di gravità e a tutte quelle esperienze che portano a una sorta di autolesionismo, ad esempio chi fa skateboard estremo o si mette in pericolo in nome dell’originalità o altro. Terrorismo è una parola molto difficile e pesante da utilizzare. Ho fatto un film dedicato a una persona che in Uruguay ha utilizzato il terrorismo per combattere il fascismo (“Pepe Mujica: un vita suprema”, 2018, ndr). Quello del 40esimo presidente dell’Uruguay, il Che Guevara senza sigaro nonché il presidente più povero del mondo, è stato un elemento di terrore per uno scopo positivo, per così dire. Un’adrenalina positiva aiuta sempre, basta solo saperla usare e gestire”.

 

A proposito di terrorismo, qual è la sua posizione su quanto sta accadendo in Israele in questi giorni?

“Mi viene in mente uno dei primi film dei fratelli Lumière girato in Palestina, quando la situazione era molto diversa. Ci veniva mostrata una Gerusalemme con tre diverse religioni. La creazione dello stato di Israele è stato un nuovo elemento che ha sparigliato le carte in tavola totalmente, ma di fronte a quanto è successo nell’ultimo mese non posso che essere sconvolto, non mi aspettavo quello che stiamo vedendo oggi. Le vittime sono troppe, sono state uccise in poco tempo lo stesso numero di persone che sono state uccise a Sarajevo tra il 1992 e il 1995, circa diecimila persone. Siamo di fronte a un conflitto di una brutalità incredibile. La provocazione di Hamas lo giustifica? Una motivazione va trovata nella Storia e nei libri, ma è davvero tutto molto complicato. Vengo da una famiglia di partigiani che ha lottato contro i nazisti: quello che vorrei è solo un mondo più giusto. La vita è l’unica gara in cui i concorrenti non desiderano raggiungere per primi il traguardo. Su quella pista l’unico ostacolo è rappresentato dal tempo. Ognuno di noi vive il proprio, o almeno, ci si prova”.

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