“Siccità”, il libro di Giulio Boccaletti

L'Italia ha tutto per mettersi al passo del clima che cambia. Basta volerlo

Cristina Marconi

Per risolvere il problema dell’acqua, come molti altre questioni legate al cambiamento del clima, ci vuole una visione politica condivisa che nasca da una valutazione razionale delle nostre priorità

Chiudi il rubinetto dell’acqua mentre ti lavi i denti e andrà tutto bene. Fai la doccia invece che il bagno e sì che le risaie di Novara e Vercelli torneranno ad avere tutta l’irrigazione di cui hanno bisogno. Al pensiero moralista e vagamente magico di questi tempi va bene tutto, ogni forma di sacrificio, purché non si guardi alla realtà dei fatti: per risolvere il problema dell’acqua, come molti altre questioni legate al cambiamento del clima, ci vuole una visione politica condivisa che nasca da una valutazione razionale delle nostre priorità. Dimmi che paese vuoi essere e ti dirò come gestire le tue risorse, sembra dirci Giulio Boccaletti, professore a Oxford, direttore del Centro euro-mediterraneo per i cambiamenti climatici, tra le massime autorità in materia, dottorato a Princeton e collaboratore di questo giornale. In Siccità-Un paese alla frontiera del clima, il suo ultimo libro, che segue di poco Acqua-Una biografia, Boccaletti riflette sulla terribile alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna a maggio scorso e sul suo opposto, ossia quella siccità che ha fatto riemergere un semicingolato tedesco buttato nel Po durante la Seconda guerra mondiale. Eventi estremi, in grado di suscitare una preoccupazione paralizzante e allarmismo ottuso, ma anche cambiamenti che nella storia ci sono sempre stati e hanno già costretto gli uomini a fare prova della loro dote più nobile, l’ingegno, per costruire dighe e cambiare il corso dei fiumi, come fatto proprio con il Po per salvare Venezia da quello che l’acqua porta con sé, ossia i detriti, il terriccio. Lo stesso che sta mettendo in difficoltà un sistema di dighe che ha ormai in media una sessantina di anni e che, oltre alla manutenzione, ha bisogno di un ripensamento, che però come per tutte le infrastrutture che riguardano la gestione dell’acqua non può essere affidato a autorità locali incapaci di una visione, e soprattutto di un’azione, collettiva.

Se gli eventi estremi mettono in discussione la nostra vita, invece di stupirci ogni volta e farci cogliere di sorpresa, è importante riconoscere e gestire “la nuova normalità” con un’azione concertata e ambiziosa. L’Italia ha però di sé una visione bucolica, pur essendo un territorio modificato e sfruttato economicamente, e punta con eccessiva enfasi, secondo Boccaletti, sulla propria fissità paesaggistica per valorizzare “l’economia immobile del turismo”, tanto più che l’acqua di per sé è comune, in Italia ce n’è molta. Il suo valore sta nella sua accessibilità e nel suo comportamento, due aspetti su cui solo la politica può incidere. Per far fronte ai bisogni dell’agricoltura non si può pensare alla desalinizzazione, che costa troppo soprattutto al momento del trasporto. Più utile è aumentare la produttività per unità d’acqua, ma questo è possibile solo per alcune colture: quali scegliamo e quali decidiamo di importare. Ci vogliono un sistema di licenze più dinamico e una capacità di stoccaggio maggiore: i nostri 10 miliardi di metri cubi, quasi la metà del fabbisogno annuo, sono pochi rispetto ai 50 miliardi spagnoli, sufficienti per due anni e mezzo. Ma nel suo bel libro, l’autore di Siccità cerca soprattutto di trasmetterci un metodo, un modo di pensare: ogni soluzione prima o poi invecchia o crea nuovi problemi, se Leonardo ha inventato il sistema delle “conche” pure noi possiamo ingegnarci per accompagnare l’Italia verso un clima diverso rispetto a quello per il quale certe soluzioni sono state pensate. Una politica ambientale fattiva e consapevole, ecco la soluzione per andare verso un futuro prospero: per uscire dalle secche si deve guardare avanti, non indietro.

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