l'intervista

"Jacovittissimevolmente. L'incontenibile arte dell'umorismo": la mostra per Benito Jacovitti a Roma

Sono passati cento anni dalla nascita di uno dei più grandi illustratori del nostro tempo. Dal 25 ottobre al 18 febbraio 2024 al Maxxi di Roma, la figlia Silvia ha aperto una mostra che celebra le opere del padre

Maurizio Stefanini

"Jacovittissimevolmente L’incontenibile arte dell’umorismo": così si intitola la mostra che per celebrare i cento anni di Benito Jacovitti è ospitata al MAXXI dal 25 ottobre al prossimo 18 febbraio 2024.

“Benito Jacovitti, nato a Termoli il 9 marzo 1923, è stato forse il più geniale umorista/fumettista del secolo scorso, oltre che uno dei più prolifici, grazie anche al suo precocissimo ingresso nel campo dei comics, avvenuto nel 1939, all’età di sedici anni”, ricorda il Catalogo. “A vent’anni era già considerato uno dei più interessanti autori italiani e, grazie all’esperienza maturata, al seguito di numerose sperimentazioni personali di stile, tratto e segno, rimarrà sulla cresta dell’onda per tutta la vita, con una carriera che durerà quasi sessant’anni e che coinvolgerà molte generazioni di lettori che sapranno amarlo e apprezzarlo nonostante i mutamenti di gusto da parte del pubblico”. Fino alla morte avvenuta a Roma il 3 dicembre 1997, e seguita dopo poche ore dall’amata moglie Floriana Jodice. Jacovitti viene così consacrato come protagonista dell’arte del XXI secolo, oltre che del fumetto?

“Mio padre è vissuto in un periodo particolare che va da prima della guerra all’era di Internet”, risponde al Foglio la figlia Silvia. Curatrice della mostra assieme a Dino Aloi e Giulia Ferracci. “Quindi attraverso i suoi fumetti, dato che ha sempre rappresentato le situazioni della gente, è come se avesse fatto un film che va dagli anni ‘30 ai ’90. È un periodo in cui sono successe tante cose: fascismo, seconda guerra mondiale, dopoguerra, boom economico, movimento studentesco, terrorismo, Internet. Ha fotografato l’Italia in un lungo periodo di tempo, e nei suoi fumetti si vede”.

Oltre 400 sono le tavole originali di Jacovitti esposte, assieme a materiali stampati. “Gli esordi”, “IL Vittorioso”, “100 personaggi”, “la Panoramiche” “Jac Erotico”, “il Diario Vitt”, “la Pubblicità”, “Opere inedite” e “gli Omaggi” sono le diverse sezioni cronologiche e tematiche con cui  si cerca di raccontare una produzione quanto mai poliedrica. Una gran parte della sua opera ebbe committente il mondo cattolico: dai disegni elettorali per la Democrazia Cristiana, fin dalla campagna elettorale del 1948 alla lunga collaborazione per il Vittorioso, giornalino cattolico per bambini e ragazzi, che negli anni ’50 fu uno dei tre poli di un duello in cui erano in campo anche il borghese-liberale Corriere dei Piccoli e il comunista il Pioniere. E lì nacquero personaggi come Pippo, Pertica e Palla; Cip l’arcipoliziotto con il suyoi nemico Zagar; la forzuta Signora Carlomagno, ispirata a una sua nonna zoppa capace di stendere un ladro a stampellate; la parodia di Mandrake Mandrago. Ma collaborò anche con il Corriere dei Piccoli, per cui creò la parodia di Zorro Zorry Kid, e anche Kack Mandolino: malvivente pasticcione per colpa di un diavoletto custode ancora più pasticcione di lui. E collaborò con quel Giorno dei Ragazzi con cui alla competizione si aggiunse anche l’Eni di Enrico Mattei: e lì nacque Cocco Bill. Cow-boy bevitore di camomilla ispirato al belga Lucky Luke (che si incontra con Cocco in una vignetta esposta) e ai primi spaghetti western, fu il suo personaggio più famoso, anche per aver fatto pubblicità ai gelati Algida.    

Ma sono esposte anche altre sue pubblicità: dalla Esselunga alla Esso e alle Ferrovie dello Stato, a parte animazioni per Carosello. Fece il famoso Diario su cui gli scolari appuntavano i compiti, che arrivò a vendere due milioni di copie l’anno, e i cui testi li realizzarono personaggi come Indro Montanelli, Roberto Gervaso o Sergio Zavoli. Illustrò libri, da Pinocchio a storie della medicina. Fece album di figurine. Nel 1981 sui mise anche a fare disegni erotici, in particolare un Kamasultra. Erano a loro volta una satira dell’ossessione sessuale, ma fecero arrabbiare gli editori cattolici del Diario. E allora Jacovitti sui mise a realizzarli da solo, rifiutando ogni censura. “Sono liberale”, diceva. “Anarchico di centro” lo definisce Francesco Specchia in uno dei saggi del catalogo.      

“Se si va alla mostra è interessante anche per questo”; spiega sempre al Foglio la figlia Silvia. “Perché si vede proprio l’evoluzione di varie situazioni anche politiche. Ovviamente, non è satira politica, ma un prendere in giro le varie situazioni nei vari momenti. Ed è per questo poi che lo hanno sempre criticato perché comunque nessuno ci stava a essere preso in giro. Però lui diceva: ‘il mio lavoro è fare l’umorista. Se io non prendo in giro la gente, che sia di centro, di destra o di sinistra, come faccio a fare il mio lavoro? Non posso fare satira. Sarei di parte, ma se non mi schiero e prendo in giro tutti faccio il mio lavoro. Se se la prendono mi dispiace per loro, perché non sanno ridere di sé stessi. Invece è molto importante farlo’”. Silvia tiene a ricordare: “è una cosa che ha insegnato a me. Prendersi sul serio non è proprio una cosa bella. Bisogna ridere di sé stessi. Non bisogna tirarsela. Nessuno è nessuno, siamo tutti qualcuno”.

Jacovitti è ricordato come grande disegnatore, ma aveva anche un certo gusto per i giochi di parole. Intere generazioni sono cresciute modellando battute sul Cocco Bill che fermava un puma chiedendogli “Lei Puma” e poi mostrandogli il cartello “Vietato Pumare”. O che con uno sparo faceva ricadere tomahawk sul sedere di un indiano minaccioso chiosando “lascia l’ascia e accetta l’accetta”. “Sì gli piaceva”, ci conferma Silvia Jacovitti. “Lo faceva con molta facilità. Parlava senza dire niente: era proprio un suo modo di essere. Lui giocava sempre, soprattutto in casa, in famiglia, con parenti e amici strettissimi che erano pochi. Faceva sempre scherzi, appunto giochi di parole, diceva cose assurde all’improvviso, era un giocherellone. Non era un padre per me, era un fratello minore. Neanche maggiore. Un adolescente che voleva sempre giocare per sdrammatizzare tutti i guai che aveva perché ne aveva parecchi. Di salute, economici e vari. Allora per sdrammatizzare, per aiutarsi ad andare avanti, lui continuava a lavorare anche quando non lavorava. Faceva dell’umorismo sempre e il più possibile per affrontare la vita”. 

La domanda che gli facevano in tanti: perché disegnava salami dappertutto? Lui a molti ripeteva che gli serviva a concentrarsi intanto che pensava alla vignetta. “Dava due risposte. Una era questa, che è la più plausibile”, conferma Silvia Jacovitti. “La seconda era: mi faccia la domanda. Perché disegna sempre salami? Mio padre disegnava sempre salami perché un giorno sarebbe venuto qualcuno a chiedere: perché disegnava sempre salami mio padre? Io avrei risposto: disegnava sempre salami perché sarebbe venuto qualcuno a chiedermi: perché mio padre disegnava sempre salami? E io avrei risposto... E così via… Lui a volte quando gli facevano la domanda andava avanti per minuti, fin quando  chi lo aveva chiesto non era sfinito. Altre volte diceva; ma che ne so? Li disegno perché non so cosa fare in quel momento. Per non stare fermo disegno”. E ci sono poi tutte le altre interpretazioni. Dal simbolo sessuale alla fame nell’Italia del dopoguerra… “Va be’… Però a mio padre il salame pure gli piaceva. Gli piaceva mangiare bene. Però faceva così. Metteva ossi, pettini mani, di tutto. Non sapendo bene come andare avanti perché la storia la  inventava man mano che disegnava, nei momenti di pausa per non stare fermo lo aiutava disegnare qualcosina non impegnativa. Poi, sarà vero? Boh, tante cose non le so. Non le saprò mai”.

Di più su questi argomenti: