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Torna in libreria l'opera di Broch che spiega come fu possibile l'avvento del nazismo

Elisa Veronica Zucchi

L’indagine sulla psicologia delle masse e la riflessione sulla dissoluzione dei valori occidentali percorrono l’intera opera dello scrittore austriaco, che con il romanzo Sortilegio racconta il potere ipnotico e la creazione del consenso nei confronti del nazismo

L’indagine sulla psicologia delle masse e la riflessione sulla dissoluzione dei valori occidentali, generata dal processo di secolarizzazione, percorrono l’intera opera dello scrittore austriaco Hermann Broch (di origini ebraiche, si convertirà al cristianesimo). Per ironia del destino, il suo saggio sul comportamento di massa è rimasto incompiuto. Tuttavia, il vero oggetto della ricerca di Broch è l’Assoluto e l’“amorevole via” che l’uomo ha dimenticato, e a cui si accede grazie alla conoscenza. Da poco nelle librerie, il romanzo Sortilegio (Elliot), terminato, nella sua prima versione, nel 1936, e riscritto più volte, è una chiara visione del consenso che ha reso possibile l’avvento del nazismo. Broch, che dai nazisti fu imprigionato, racconta la storia di un medico che decide di vivere in un villaggio alpino, alle pendici di un monte al cui interno si celerebbe dell’oro. La tranquilla vita della popolazione viene improvvisamente turbata dall’arrivo di uno straniero, l’italiano Marius Ratti, che ha sugli abitanti un potere ipnotico.

Lo stile dell’autore della Morte di Virgilio, allucinato per eccesso di lucidità, ha cambiato la forma-romanzo del Novecento. Se, da un lato, in Sortilegio, la narrazione restituisce il riflesso pavloviano e carnascialesco della folla di fronte all’angoscia dell’esistenza, dall’altro fa affiorare il pensiero sulla vita stessa, attraverso l’uso di allitterazioni e iperboli che suscitano una particolare ebrezza. Il ritmo della scrittura alterna descrizioni di vita quotidiana, con le sue feste e i suoi riti, a esplosioni del pensiero, ingenerando la compenetrazione di uomo e paesaggio, altresì rafforzando l’analogia, già nell’etimo, fra raccolto agreste e linguaggio.

Non ci si può mai del tutto sottrarre al movimento della folla, poiché anche il più critico e solitario è ineluttabilmente coinvolto nella sonnambolica marcia degli incolpevoli (un altro titolo decisivo di Broch). Ognuno partecipa dei suoi rituali, è intessuto di senso comune, che è radicato in forze ancestrali, in potenze mitologiche e archetipi dell’inconscio collettivo. In tal senso, emblematica è la trilogia I sonnambuli (Adelphi ha ripubblicato, nel 2020 e nel 2023, le prime due parti:  1888-Pasenow o il romanticismo e 1903-Esch o l’anarchia), che percorre la crisi della civiltà europea attraverso la parabola dell’impero guglielmino. Il punto di vista di Broch è quello di un viandante che soccorre la fatalità della storia. Guarda in faccia il suo punto cieco, la sua sete di suolo e sangue, e lo sopravanza con la fede nell’eternità, il cui sguardo estatico si dona insieme alla conoscenza di ciò che unisce gli esseri umani. Nella misura respira il cuore delle cose e si crea l’antidoto contro il male. Il divino dimora in un “centro mediano”, in quel “centro del giardino luminoso in cui noi abitiamo, e che coltiviamo con le nostre mani”. Tale consapevolezza sottrae alle forze irrazionali il proprio autoannientamento. Lo sbrigliamento dall’oscurità sapiente del mito, nonché dal suo monito sulla necessità di una giustizia, è morire. E si muore anche in quel tempo in cui viene meno quel giuramento del linguaggio, senza il quale esso perde la sua facoltà profetica.  Il nichilismo sviscerato da Nietzsche, e poi interrogato da Heidegger, a partire dalla serie di lezioni del 1936-37 sull’autore dello Zarathustra, è un nichilismo non solo europeo, ma universale, poiché mette in luce, come coglie Heidegger con riflessioni quanto mai attuali, la decadenza del domino del soprasensibile, che l’“Atlante schiacciato dal proprio labirinto” – Hannah Arendt così immagina Broch nel congedo – ha denunciato in tutta la sua opera.

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