Pagina 69

La traversata di Andrea Canobbio è un'autobiografia per interposto genitore

Mariarosa Mancuso

Padri, figli e un carotaggio che non scioglie i dilemmi. L'unico scrittore tra quattro scrittrici propone un memoir di oltre 500 pagine ambientato a Torino e dintorni e che ben si accoppia con il girovagare

Secondo carotaggio Strega. Procediamo in ordine alfabetico e non di voti ottenuti (ci sarà un rimescolamento il sette luglio, giorno della premiazione: i voti a disposizione dei giurati passeranno da tre a uno). Sosteneva Marshall McLuhan che il microcosmo di pagina 69 rispecchia il macrocosmo dell’intero romanzo, utile – e non corruttibile – indizio per sapere cosa ci attende. Andrea Canobbio è candidato con La traversata notturna (titolo che sembra fare eco a Rubare la notte di Romana Petri). Unico scrittore tra quattro scrittrici – detto per chi tiene alle rivendicazioni, tra un po’ saranno i maschi a chiedere le quote. Il libro più lungo: avanza per un totale di 520 pagine, chiuse da un indice di luoghi, a Torino e dintorni. Il memoir, individuale o familiare, ben si accoppia con il girovagare. 
     

I luoghi evocano ricordi, i ricordi indirizzano verso altri luoghi, schizzi e fotografie accompagnano le parole. Sono ricordi “che non smettono di tormentare”: premurosamente le righe in copertina lo segnalano al lettore, e sembrano dirigere La traversata notturna verso un’indagine sulla depressione del defunto padre ingegnere. La voce narrante nel memoir coincide con lo scrittore, raffinatezze come Je est un autre di Arthur Rimbaud non usano più nella marea di autobiografie ribattezzate romanzo. A pagina 69 si rivolge con il tu al genitore, esemplare nel suo impegno: “hai dalla tua l’orgoglio del lavoro ben fatto, la fede nella religione del lavoro”.  Concentrando gli sforzi per “riuscire a mantenerti puro a contatto con gli impuri”. Conclusione: “Finché di colpo senti d’esserne stato escluso (intende Canobbio: ‘dal mondo che è disordine e imperfezione’) e non capisci il perché, e ti disperi”. Il tono si fa meno accorato, ora le parole sono rivolte ai lettori, quasi un commento alle righe precedenti. Il padre aveva nostalgia per i “ladri in guanti gialli” – vale a dire “i vecchi commilitoni democristiani e parademocristiani che governavano enti statali o parastatali”. Disprezzava i politici spregiudicati che ne prenderanno il posto. Perfino i politici spregiudicati di oggi condividono.
     

Andiamo a pagina 99, supplemento di indagine. C’è un’agenda aperta al 10 agosto, una riga trasversale indica “nessun impegno”. “Le domeniche dalla vita” sono sempre tristi, pensava quel gran lavoratore di Georges Simenon. E le ferie peggiorano l’umore dei depressi. Il carotaggio non scioglie il dilemma. E’ il figlio Andrea Canobbio che racconta il padre? Oppure la vita e i misteri di Canobbio senior, ingegnere, sono il pretesto per l’autobiografia? I luoghi delle traversate notturne sono numerati, cerchiamo il 69 corrisponde al Monte dei Cappuccini. Taccuini e agende fanno ancora da guida, qui si aggiungono echi di Jean-Jacques Rousseau e di Giuseppe Baretti, letterato torinese emigrato a Londra. Scorci di paesaggio, il cielo di un blu smagliante o “il fiume che sfoggiava un mantello marrone”. Si direbbe un’autobiografia per interposto genitore, con Torino che pretende il suo spazio.

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