Pagina 69

Verso lo Strega: Maria Grazia Calandrone sulle tracce della madre che l'ha abbandonata

Mariarosa Mancuso

La cinquina non promette bene per chi rifugge dalle letture educative e confessionali. Tre titoli su cinque raccontano sofferenze personali con punte di tragedia. Dove non mi hai portata è uno di questi 

Tre titoli su cinque in gara allo Strega 2023 raccontano sofferenze personali con punte di tragedia. Il quarto è “ispirato a una storia vera”, di guerra. Il quinto si presenta come la biografia di un venerato scrittore, con forte tendenza all’identificazione: le molte lettere scritte da Tonio l’aviatore alla madre sono apocrife.

Presa a campione della narrativa italiana, la cinquina non promette bene per chi rifugge dalle letture educative e confessionali: ha cominciato a leggere per divertimento, e vorrebbe continuare a farlo. Per rispetto dei romanzi, dove fa punteggio la bravura. Non le lacrime, le tristezze e le angosce. Neppure “un cuore servito bello caldo” (parole di Philip Roth, che deplorava la pratica).

Procediamo con il carotaggio di pagina 69 – quando lo scrittore è lontano dall’inizio, che un po’ di esibizione sempre la comporta. Dobbiamo il suggerimento a Marshall McLuhan, per gli indecisi in libreria. Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone già sfugge: pagina 69 è bianca, c’è solo un nome: Giuseppe. Andiamo dunque a pagina 99, la preferita per questo scopo da Ford Madox Ford che iniziò un romanzo con la frase “Questa è la storia più triste che abbia mai sentito” – ma era il 1915, e non era la sua vita.

“Mia madre, un caso di cronaca”, precisa il sottotitolo. Da Splendi come vita, già nella dozzina dello Strega 2021, sappiamo del difficile rapporto di Maria Grazia Calandrone con la madre adottiva. Qui cerca le tracce della madre che l’ha messa al mondo, e abbandonata a otto mesi nel parco di Villa Borghese – sta scritto nella copertina e nei risvolti, con i nomi dei genitori, Lucia e Giuseppe, “scivolati nelle acque del Tevere”.

A pagina 99 leggiamo: “Sono già quasi fuori tempo massimo, ma hanno la pazzia fiera e feroce degli innamorati”. Lucia è fuggita dal marito violento per andare a vivere con Giuseppe, colpevole quindi – erano gli anni 60 – di relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale. Fin qui i fatti, per quanto spiacevoli. E tra i fatti, ci sono i parenti che rivogliono Lucia a casa, per pulire e cucinare. La scrittura è di Maria Grazia Calandrone: “Gli artigli dei parenti che ogni notte graffiano alla porta, fanno voci d’agnello, suonano i flauti dell’ipocrisia”. 

Poi mezza pagina di commento. Non sempre cristallino. “Certo, l’identità dei vivi è una rettifica continua degli errori già fatti, anche da chi è stato vivo prima di noi”. Il “certo” che introduce la frase è un’intimidazione per il lettore (se ci casca e non rilegge). L’errore di Lucia è andarsene dal sud, non aiutare gli abitanti del paesello a raggiungere “lo stato di grazia sociale”. 

“Lucia potrebbe incarnare il progresso, provare a rendere la sua bellissima terra un luogo dove abita l’utopia, addirittura farne un avamposto di libertà legislativa”. Purtroppo “a quella donna giovane la nostalgia del fico e della legna arriveranno dopo, come un morso notturno alla nuca che posa su un cuscino imbottito in poliuretano espanso”. Sempre meglio del pagliericcio, comunque.

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