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Il libro

La storia d'amore tra La Capria e la letteratura nelle lettere di una vita

 Marco Archetti

“Tu, un secolo” è il romanzo a puntate di un mondo che non c’è più. La raccolta del pensiero di molti scrittori che ragionano sui libri e sulla letteratura come modo di stare al mondo

“Ferito a morte è un bel titolo per un libro di versi, ma il Suo romanzo ne merita uno più diretto. Molti affettuosi auguri, Valentino.” Bompiani, ovviamente. Che nel marzo del 1961 scrive così a Raffaele La Capria, un quasi quarantenne (oggi “giovanissimo scrittore”) che, dopo l’esordio con “Un giorno di impazienza”, si avvierà a vincere il Premio Strega. Non senza codazzo di polemiche – tutte nel merito del romanzo, incredibile. E si avvierà a ricevere anche una lettera da papa Eugenio Montale, in cui il poeta rettificava l’utilizzo di una parola impropria nel recensire il romanzo (“mediocre”) e la sostituiva con una più adeguata (“discutibile”). Tre anni dopo. Sì, ci pensò tre anni. Lecito commuoversi. 

“Tu, un secolo” di Raffaele La Capria (Mondadori, pp.161, euro 18,50) è il romanzo a puntate di un mondo che non c’è più. O meglio, di un mondo che c’è ma si è assottigliato, un mondo in cui è sempre più difficile camminare, un mondo che non contempla più un discorso sulla letteratura contemporanea che non sia mitragliata di iperboli elogiative (destinate ai soli amici, su un giornale amico) o profusione turibolare (elargita a chi, si spera, abbia ancora una rubrichina e una memoria abbastanza lunga da ricambiare). E pensare che nel 1969, in una lettera al Nostro, Mario Pomilio scriveva: “Non cesso di arrabbiarmi con la nostra situazione culturale, che fa sì che ogni cosa si dimentichi così presto, che passata una stagione fa mettere da parte un libro, sì che si continua così di rado a parlarne”. Anche la stagione si è assottigliata a un pugno di giorni. Per quel “di rado” è lecito commuoversi una seconda volta.

Tuttavia questo libro di libri e di scrittori che ragionano sui libri – ogni lettera schiude un mondo di parole e osservazioni che paiono ancora più sensate oggi che si cammina in fila indiana su un lembo di dimenticanza garantita e di disattenzione che ha preso le mentite spoglie dell’attenzione (vedi, appunto, mitragliate & turiboli) – è un libro pieno di gioia e di vita che sta dentro e resta fuori dai libri; pieno, insomma, di comprensione della vita così com’è. Un libro che sprizza presente ed energia, una storia d’amore a più voci per la voce di un altro, e per la letteratura come modo di stare al mondo – la sola lettera di Lucio Mastronardi contiene: una lezione di scrittura (“Gadda scrive divino, Svevo scrive male, eppure Svevo è più grande di Gadda”), una dichiarazione di intenti (“io non sono un pittore e per me lo spazio è il tempo”) e una frase da appuntarsi (“da quando mi sono messo a studiare il tempo, io non so più cos’è la noia”).

Un libro che contiene Stendhal come “tappezzeria dell’anima” tanto è essenziale. Che contiene tre Capri diverse raccontate in una lettera a Francesco Durante. Che contiene una lettera d’amor paterno alla figlia Alexandra. Che contiene Silvio Perrella che scrive una pagina indimenticabile di mitopoiesi lacapriana (“Caro Raffaele, il tempo fa le fusa alle poltrone”) e un Pasolini immortalato – ma forse bisognerebbe dire raffreddato – in una considerazione scritta tra parentesi, che è invece una considerazione angolare (“nel tuo giudizio è intervenuto il fantasma della contestazione che, con quello dell’avanguardia, ti perseguita”). Inevitabile: La Capria, in fondo, non fu uno scrittore capace di rivelarsi proprio tra le parentesi? Uno scrittore imprevisto e con la voce bassa – un gioioso clinamen, un lieto disguido, una danza di tendine nel Salone degli specchi.
Ma la presenza presente di La Capria, a dispetto di ogni tranello della materia, la racconta Emanuele Trevi in una lettera che non vale definire postuma, perché non lo è e non lo potrà mai essere, se è vero – ed è verissimo – che uno scrittore, quando ha vissuto ed è appartenuto a un luogo, fa sì che quel luogo appartenga a coloro che leggono. “Esattamente come si eredita un terreno dai propri genitori”, scrive Trevi. La Capria è stato questo: padre di tutti i lettori che, tra le sue pagine, hanno trovato un posto in cui far vivere l’anima. Una Capri reale o immaginaria, ma comunque un posto di luce. Quella luce che, scrive Perrella – e vale come ritratto dell’artista da giovane e da vecchio –, “fa riso agli occhi”.

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