(da festivaldulivredeparis.fr)

Festival du livre

Il boom dell'editoria italiana a Parigi. Ma per gli addetti ai lavori i libri sono troppi

Mariarosa Mancuso

Crescono i titoli e il conseguente fatturato, ma l’industria dovrà chiedersi prima o poi perché si pubblicano volumi che non vendono neppure una copia. L’Italia propone successi da esportazione e la Francia la celebra

Parigi. Padiglione italiano inaugurato con successo, al Festival du livre di Parigi. Gran vista sulla Tour Eiffel e molto Pier Paolo Pasolini tra i volumi poggiati su sobri tavoli di legno chiaro. Il ministro Sangiuliano ribadisce l’amicizia tra Italia e Francia e l’importanza della cultura, ricordando le parole del presidente Sergio Mattarella. Elenca gli scrittori francesi che predilige: Chateaubriand, De Maistre, Flaubert, Victor Hugo e pure Jean-Paul Sartre, dove ha trovato “pensieri interessanti”. In cima alla lista sta Balzac, per via del pamphlet “Les journalistes”. Una polemichetta preventiva con la categoria male non può fare. Pochi minuti dopo, sarà Vittorio Sgarbi – lui c’era, sottosegretario alla Cultura allora e oggi – a ricordare le proteste che 21 anni fa rovinarono il sontuoso padiglione italiano disegnato da Pier Luigi Pizzi. I centri sociali protestavano contro Silvio Berlusconi, e per lo stesso motivo l’allora ministra della cultura Catherine Tasca voleva disertare l’inaugurazione. Ora pace è fatta, e nel Padiglione italiano fa bella mostra di sé un quadro di Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino (qui Sgarbi torna critico d’arte). Intorno, il Grand Palais Éphémère, padiglione temporaneo costruito perché il vero Grand Palais – inaugurato durante l’Esposizione universale del 1900 – è in restauro. Tavoli e tavoli poggiati su spartani cavalletti. Tutti uguali, invidiatissimi dagli editori italiani che al Salone del libro di Torino si presentano con lussuosi, e costosi, stand. Se guardiamo distrattamente, senza badare al nome dell’editore, parrebbe una distesa di piccole case editrici. Usiamo come pietra di paragone il Salone del libro di Torino di qualche anno fa (ora le date coincidono con il Festival di Cannes).

 

Grand Palais “provvisorio”, quindi (verrà usato per i Giochi olimpici del 2024, poi smontato, e i pezzi venduti). I francesi ne vanno fieri: sia detto per i cultori delle differenze e somiglianze con i cugini italiani. E leggono. Anche da giovani. Régine Hatchondo, présidente du Centre national du livre, parla di quattro libri all’anno o più. Fino ai 12 anni. Per gli adolescenti c’è il richiamo dei “black mirror”, cellulari e tablet. YouTube, Instagram e TikTok forniscono gran parte delle informazioni sui libri, altri suggerimenti arrivano da serie e film. Quindi il Festival du livre parigino ha previsto un bel box insonorizzato, con luci e microfono, per i tiktoker. “L’espace presse” cosiddetto ha due tavolini e una stampante. Il Grand Prix de l’Académie française destinato al romanzo è andato nel 2022 a Giuliano da Empoli, per lo splendido – e adatto ai tempi, ma con tutte le qualità per durare – “Il mago del Cremlino”. Domenica parlerà con Pierre-Henry Gomont, che alla Russia ha dedicato la molto premiata graphic novel “Slava”, sul tema “La Russie, une fiction?” Ieri Libération gli ha fatto dirigere il numero speciale, 50 scrittori per i 50 anni del quotidiano. Erri De Luca, che i francesi esageratamente amano (come succede a Cannes con i film di Nanni Moretti), parlerà alla Sorbona.

 

Alla Maison de la poésie, questo sabato pomeriggio Milo Manara presenterà la graphic novel tratta dal “Nome della rosa” di Umberto Eco. L’editore italiano Oblomov pubblica il primo volume a maggio e il secondo in autunno (qualche tavola era su Linus, spiccano una bella ragazza ricciuta, un Adso piuttosto femmineo, e tante mostruose creaturine medievali). Nell’intervista uscita ieri sul Corriere della Sera, il presidente Sergio Mattarella consigliava la lettura del “Milione” di Marco Polo, “potrebbe aiutarci a comprendere lo spirito con cui va guardato il mondo”. Programma vasto anche per le nostre forze di lettori accaniti. Restiamo alle “Passions italiennes”. Oltre all’Italia presente con tutti gli onori al Festival du livre parigino – sul manifesto, una Vespa per due, lei seduta all’amazzone che legge un libro dietro al guidatore, sullo sfondo la Tour Eiffel, e meno male che hanno il casco – c’è a Parigi Italissimo, festival culturale iniziato lo scorso 17 aprile. L’editoria italiana farà tappa il prossimo anno alla Buchmesse di Francoforte, sempre come paese ospite.

 

Si comprano all’estero sempre più libri da tradurre, oltre 9.000 secondo gli ultimi dati disponibili. Un po’ meno sono i titoli venduti, circa 8.500. Nel 2001 i diritti acquistati erano 5.400, 1.800 quelli ceduti. Numeri che misurano quanto sia cresciuta l’editoria, per numero di titoli e conseguente fatturato. Troppi libri, dicono tutti o quasi gli addetti ai lavori (se non ci sono giornalisti in giro). Difficile è capire come si possano selezionare senza perdite economiche. Leggere sarà anche “riempire i granai”, come diceva Marguerite Yourcenar (altra citazione del ministro Sangiuliano). Ma l’industria editoriale dovrà chiedersi prima o poi perché si pubblicano titoli che non vendono neppure una copia. Vanno in libreria e dalla libreria tornano, uno spreco che neppure “l’eccezione culturale” (per usare un’espressione cara ai francesi) può giustificare. Sulla scia di Elena Ferrante (intesa come libri, serie tv, nascondimento della scrittrice, o scrittore che sia) l’Italia propone altri successi da esportazione. E’ questa la novità vera. Ultimo caso pervenuto, Beatrice Salvioni con “La Malnata” (Einaudi): esordiente di 27 anni pubblicata contemporaneamente in tutta Europa, e la serie arriverà. Due amiche ragazzine che si ribellano all’ingiustizia, nell’Italia fascista. Un critico spagnolo l’ha paragonata a Elena Ferrante e pure a Joyce Carol Oates. A parte la bizzarra e sbilanciatissima accoppiata, constatiamo che le storie dell’Italia fascista – non esaurite da Antonio Scurati con “M” – stanno diventando quel che per gli americani è il western.

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