credits: Teatro alla Scala

Napoli piace e fa tendenza

La festa settecentesca degli “Ziti” alla Scala, tra Salvator Rosa e delizie di costumi

Fabiana Giacomotti

La prima degli “Ziti ngalera” è una goduria assoluta per chi ama le calzette turchine e i fermo scena da tableau vivant. Una rappresentazione che mancava da trecento anni e che conferma l'attrazione verso l'universo partenopeo

Si potrebbe dire che nulla manchi nel grande programma messo a punto da Monique Veaute per il Festival di Spoleto, presentato ieri con grande conferenza stampa e cenino riservatissimo all’Accademia di Francia, dall’artista afroamericano Lonnie Holley con le sue sonorità crude al teatro simbolista di Maurice Maeterlinck, il ventaglio è ricco e ampio, molto internazionale. Quasi troppo internazionale, verrebbe da dire, visto che ultimamente, in Italia, si porta invece molto la napoletanità. Naturalmente, è de rigueur non portarla a Napoli. Si porta infatti a Firenze, dove il nuovo presidente di Pitti Immagine è Antonio De Matteis, erede della dinastia Kiton di Ciro Paone, sessant’anni di giacche tagliate e montate alla napoletana, che in realtà è una scuola antica almeno quanto l’eleganza dell’omonimo pittore del primo Settecento che rischiara le visite a Capodimonte. Si porta anche nell’entertainment iper-pop, Napoli, con il serial “Mare fuori” e il florilegio di imitazioni semi-invidiose in genovese (“Mâ Feua”) e altri vernacoli meno pregevoli del napoletano che invece è una lingua, grammatica e sintassi e letteratura comprese.

 

Napoli piace e fa tendenza nonostante il fermo proposito della segretaria del Pd Elly Schlein di metterne nell’angolo il governatore, Vincenzo De Luca, uno che ha lo “staccato” del napoletano sprezzante e colto, modello londinese di Belgravia. Trionfa Napoli e la gente abbraccia per strada la direttrice del carcere fittizio e seriale Carolina Crescentini, che di napoletano possiede quelle belle occhiaie sexy ed era dai tempi di Sophia Loren in “Matrimonio all’italiana” e la tirata dell’“era bello o mobile” che non se ne vedevano di uguali. Napoli in aria di scudetto, fra l’altro, nonostante i quattro gol del Milan dell’altra sera, che comunque non spostano di un millimetro il risultato finale e chissà perché hanno preso l’aria di un tributo, come peraltro quello offerto due sere fa al Teatro alla Scala, dove la numerosissima napoletanità trapiantata sfilava compatta e sorridente davanti al sovrintendente Dominique Meyer e al capo ufficio stampa Paolo Besana (“ci siamo tutti, hai visto’”) per la prima degli “Ziti ngalera”, traduzione in italiano spiccio “i fidanzati in barca” (sfidiamo chi non ha letto almeno Salgari a descrivere una galera).

 

La commedia in musica di Leonardo Vinci andò in scena per il carnevale del 1722 al piccolo, chiassoso e popolarissimo Teatro dei Fiorentini su testo di Bernardo Saddumene, pseudonimo di Andrea Bermures, sorta di Goldoni partenopeo e ben più di lui tutto un sottinteso e un doppio senso fra tori (vaje) e funghi, da cui necessarissima traduzione per i milanesi, a cui il regista Leo Muscato, che pure nasce professionalmente nella compagnia di Luigi De Filippo, ha dovuto dedicare molto tempo e molta sapienza, purtroppo andata persa fra le poltrone rimaste prive della traduzione a led luminosi per problemi tecnici. Alla Scala gli “Ziti” giungono per la prima volta dopo trecento anni, qualcuno dice che se ne sarebbero potuti aspettare ancora altrettanti, ma per chi ama il genere Salvator Rosa, le scene di Federica Parolini e i costumi di Silvia Aymonino, con quelle calzette turchine da puro settecento bambocciante sono una delizia per gli occhi, e i fermo scena da tableau vivant una goduria assoluta.

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