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Storia dell'amicizia fra il maestro Federico Caffè e l'allievo Daniele Archibugi

Michele Salvati

Il tempo dedicato a istruire i discepoli era grande, così come la sua riservatezza. Tra le due persone che riuscirono a infrangere questa barriera c'è l'autore del libro, che racconta la vita dell'economista oltre l'accademia 

A proposito della mia disciplina, l’economia, non ci sono più “maestri” nelle nostre università. Quei grandi professori dediti alla ricerca e all’insegnamento, i quali se si accorgevano che un loro studente aveva la predisposizione, le capacità e la tenacia necessarie per una carriera accademica di successo ne facevano un loro allievo e lo aiutavano a proseguire gli studi dopo la laurea. La scomparsa dei maestri nel senso appena descritto credo sia stata più un bene che un male, perché il sistema che produceva maestri veri generava tanti maestri finti, che utilizzavano il loro potere per scopi che nulla avevano a che fare con il progresso della disciplina.

In una università di massa questa situazione era insostenibile e per fortuna il metodo di selezione è cambiato e la predisposizione alla ricerca e all’insegnamento delle nuove leve di docenti non è più affidata al giudizio di singoli “baroni” ma – sia pure con non poche eccezioni – a sistemi di accertamento che si vorrebbero universalistici e meritocratici. E insieme è cambiata la stessa qualità dei “baroni”, le cui decisioni sono oggi soggette a maggiori controlli. Il nuovo sistema non è senza difetti: nelle scienze sociali, induce i giovani studiosi al conformismo, a seguire il mainstream della disciplina. Insomma, una sorta di dittatura della maggioranza, di una maggioranza oggi soprattutto composta da studiosi operanti nelle grandi università americane.  Ma almeno riduce gli abusi baronali di un non lontano passato.

Di questo passato – 50 e più anni fa – ci parla Daniele Archibugi nel suo libro dedicato a Federico Caffè, noto al grande pubblico per essere uscito di casa nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1987 ed essere scomparso. Vani risultarono tutti gli sforzi della polizia e dei suoi allievi per ritrovarlo in vita, o in seguito per trovarne tracce o capire che cosa fosse successo: sparire non è per nulla facile per una persona molto nota. Il libro parte con una ricostruzione minuziosa di questa ricerca, di cui Archibugi fece parte, ma non sta in questa vicenda la ragione dell’interesse di questo libro, scritto in modo avvincente, con dialoghi ricostruiti grazie alla memoria straordinaria dell’autore, disposti in capitoli che assomigliano a sequenze cinematografiche, con continui flash-back inseriti con l’abilità di un esperto sceneggiatore. La vera ragione dell’interesse sta nella storia di un’amicizia.

Anche tra i maestri di un tempo la figura di Caffè era unica: pur se impegnato come pochi nella politica economica italiana e riconosciuto per il valore delle sue analisi dalle maggiori autorità economiche, politiche e istituzionali del nostro paese, il suo lavoro si svolgeva esclusivamente in università e la sua dedizione agli studenti, e in particolare a quelli che riuscivano a diventare suoi “allievi” (non pochi, quello oggi più noto è Mario Draghi), aveva qualcosa di antico: anche se accettava idee diverse dalle sue, egli era il maestro e gli allievi erano discepoli. Ma com’era grande la disponibilità e il tempo dedicato a istruire i discepoli, così lo era la sua riservatezza: la sfera dell’università e quella dei rapporti familiari e personali – e dunque dell’amicizia – dovevano restare  separate. E solo due dei suoi allievi riuscirono a infrangere questa barriera: l’autore di questo libro e Bruno Amoroso, la cui carriera accademica si svolse al di fuori dell’Italia.

Ci riuscirono perché erano due persone lontane dall’idealtipo di professore universitario o di economista legato alle professioni cui una buona conoscenza dell’economia dà accesso. Erano due ribelli, dalla vita sregolata e dai forti legami con il mondo turbolento e aperto a grandi sogni degli anni successivi al ’68, ma che sentivano il bisogno di un maestro che li legasse al mondo della disciplina, nel doppio significato di questo termine, di rigore intellettuale e di specializzazione professionale. Ma perché Caffè rispose a questa domanda d’amicizia con un’offerta di intimità insolita in un uomo così riservato, così incline alla separatezza della vita professionale da quella affettiva? Archibugi risponde parlando soprattutto di sé e dei suoi rapporti con il maestro con abbondanza di particolari, costruendo un’immagine di Caffè, e del suo bisogno represso d’amicizia, credibile e rivelatrice.

Io allora vivevo a Roma come assistente di Paolo Sylos Labini (in realtà “assistito”, come scherzava il mio maestro) e il mondo di cui parla Archibugi lo conoscevo bene, anche perché Caffè e Sylos erano amici: insieme a Giorgio Fuà, Siro Lombardini, Sergio Steve e pochi altri furono loro a promuovere quella internazionalizzazione degli studi economici che poi avrebbe mutato il modo di formazione dei docenti di Economia. Anche per questo libro di Archibugi mi ha appassionato e commosso. Ma sono convinto che il ritratto di Caffè che emerge da questo libro appassionerà e commuoverà – se letto come storia di una singolare ma intensa amicizia – anche un lettore che nulla conosce di quel mondo antico.

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