l'editor controverso

Quando Gordon Lish prende in mano la penna ti fa sentire davvero lettore

Marco Archetti

L’uomo che ha contribuito ad accordare le voci di scrittori come Richard Ford, Raymond Carver, Don DeLillo, Cynthia Ozick, lo ribadiva chiaramente: bisogna sedurre con le parole. In libreria il suo "Come scrivere un racconto" 

Primum scrivere. Ossia, tener separate le viscere dalla pagina. E con tanto sani presupposti non si capisce il perché nel cortile di ogni sede editoriale non trionfi, a monito, una statua dedicata a Gordon Lish a cavallo con le cesoie. Poco male, in fondo è nel cuore di molti – averci a che fare direttamente era un altro paio di maniche, quasi mai comode. E la ragione è una frase, che trovate nel retrocopertina di questo Come scrivere un racconto (Racconti edizioni, 314 pp., 20 euro). Dice: “Scrivere non c’entra nulla con l’espressione di sé. C’entra col mettere le parole sulla pagina”. Da scolpire nella pietra, soprattutto in questa èra del Grande Ombelico nobelizable e sbrodolante, che ci porta avanti quasi tutti quanti, maschi, femmine e cantanti, a firmare romanzi che rimbalzano tra le solite quattro anguste pareti. 

 

Ma ragioniamoci: che cosa intendeva dire davvero, questo campione di scrittura e di maieutica (a Esquire e a Knopf), questo controverso e celeberrimo editor, strafottente e spietato generatore di destini, mentore e confessore, demiurgo e distruttore, soldato sulla linea del fronte dell’autore che lo rifiuta, lo combatte e pesta i piedi, presenza ingombrante, moloch e asceta ma anche fantasma genio e bullo, autodefinitosi scarabocchiatore e mai scrittore seppur lo fosse, eccome? Non intendeva dire che fosse vietato servirsi di materiale interessante se gentilmente offerto dalla propria biografia (di cui non si deve né buttar via né tener via per forza). Ma intendeva ricordare che o viene prima il risultato, o quella scrittura non sarà scrittura. Nel peggiore dei casi sarà guazzabuglio. Nel migliore, autofiction. In ogni caso, l’uomo che ha contribuito ad accordare le voci di scrittori come Richard Ford, Raymond Carver, Don DeLillo, Cynthia Ozick, lo ribadiva chiaramente: scrivere è sedurre. Non certo fare lo scrub al proprio profilo morale. E neanche “essere fedeli”. Meno che mai pettinare i parenti mettendoli in posa per la foto, cercando di ottenere da loro un’epica che non c’è – e sì che al baretto funzionava – o ridisegnare in scala uno a uno la propria esperienza (ci sono scrittori che, intervistati a riguardo, usano espressioni letali come “il proprio vissuto”). “Dovete sedurmi” diceva Lish agli studenti cui teneva seminari di scrittura a Yale, alla Columbia, alla New York University per sei ore alla settimana. Solo questo. Sedurre. Il resto è niente. Il resto è un equivoco, riempir pagine, pisciare righe, picchiar tasti – viene in mente il “typing, not writing”, con cui Truman Capote mise ko l’opera omnia di Jack Kerouac.

 

Questo e molto altro troverete in Come scrivere un racconto, che non è un manuale, ma è scrittura da manuale. Che seduce e spiazza, soprattutto se da Gordon Lish vi aspettate racconti “alla Carver”, alla “DeLillo” o alla maniera di chiunque Lish abbia contribuito a caratterizzare. L’offerta è varia, nel registro, nei codici e nei contenuti: racconti sincopati e perfetti come “Il signor Goldbaum”; cruciali e sinistri come “Senso di colpa”; rasoiate memorabili quali “Come scrivere una poesia”; ardite session come “A cena con Ozick e Lentricchia” (sì, lei, la scrittrice; Lentricchia è invece Frank Lentricchia, critico letterario; e ci sarebbe anche un paio di pince-nez); il premiato “A Jeromé: con amore e baci” (vinse l’O. Henry Award); e poi sassate, giochi stilistici, salti mortali e negli abissi, insomma, lo spettacolo d’arte varia di uno innamorato della scrittura nella sua essenza primaria, la scrittura come freccia che mira al centro: della vita, delle cose, dei testi e dei sottotesti – la scrittura come reazione chimica all’esistenza. Perché Gordon Lish è stato anche uno scienziato pazzo, oltre che un giocoliere iperrazionale. Uno che rompeva i bicchieri perché doveva usarne solo una scheggia, uno che camminava sui vetri e si taglia solo se lo decideva. Uno che quando prende la parola e scrive, la prende davvero. E ti interpella, e ti fa sentire interlocutore: ti fa sentire lettore.
 

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