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Magia e milioni

Storia della professione dell'occulto

Michele Magno

Tredici milioni di italiani all'anno si affidano a sedicenti maghi e astrologi. Cronologia di un fenomeno che ha radici antiche e per questo è difficile da sradicare, non solo tra i creduloni

Magia. L’arte di convertire la superstizione in moneta sonante.
Ambrose Bierce

Strano paese il nostro. Le aziende fanno fatica a trovare elettricisti, saldatori, carpentieri, ingegneri, informatici, ma a indovini, astrologi, cartomanti e chiromanti il lavoro non è mai  mancato. Le associazioni dei consumatori e l’Osservatorio antiplagio hanno calcolato che ogni anno circa tredici milioni di italiani si rivolgono ai centosessantamila professionisti dell’occulto, per un giro d’affari che macina miliardi di euro. Un florido mercato della superstizione, dell’ignoranza e dell’imbroglio, esploso durante la pandemia, a cui si aggiungono falangi di complottisti, rettiliani, terrapiattisti, antivaccinisti, sette più o meno sataniche, negazionisti dell’allunaggio e della Shoah. Ogni giorno trentamila nostri concittadini alzano il telefono per consultare un santone, nella speranza di vedere risolti i propri problemi di amore, salute, denaro. Nelle città come nei borghi operano stregoni, guaritori, spiritisti e sensitivi in contatto con gli alieni. Il mito di Faust si ripete in piccoli condomini di periferia, nei circoli di casalinghe inquiete, in scuole di alta magia tenute da ex cuochi o meccanici, dove Mefistofele diventa un povero satanasso da rotocalco, capace al massimo di suggerire i numeri della Smorfia.

Ogni anno circa 13 milioni di italiani si rivolgono ai centosessantamila professionisti dell’occulto, per un giro d’affari che macina miliardi di euro

Un business da nababbi, che ha invaso il piccolo schermo e che viaggia a velocità della luce su internet. Non c’è principe delle tenebre, docente di gnosi occulte, cultore di magia nera, esperto di esoterismo che non abbia il suo sito sul web. Molti di loro sostengono che dal monitor del computer emana la forza oscura del cosmo e che il doppino telefonico è abitato da folletti e diavoletti. Ma quando qualcuno si rivolge a un negromante gli ha già conferito potere: quello di predire il futuro, di allontanare ogni negatività o di intervenire sugli spiriti maligni, cioè su quegli esseri che “super-stanno” tra il cielo e la terra, nell’imperfetto mondo sublunare. Dalla loro topologia deriva il termine “superstizione”, giacché tali spiriti dimorano nei suoi interstizi, ossia “stanno sopra’’. Si pensi ai maghi che appaiono in televisione: si presentano come veggenti, ma sfruttano il racconto del malcapitato di turno per inventarsi l’esistenza di mali causati da fatture che richiedono rituali di purificazione. Purtroppo anche persone istruite, razionali e riflessive possono incontrare nel corso della propria vita avversità che le rendono vulnerabili, sino al punto di farle diventare preda dei professionisti del raggiro. Si entra così in un circolo vizioso di menzogne condivise. L’illusionista intuisce abilmente lo stato psicologico di inferiorità di chi chiede il suo aiuto e lo manipola per svuotargli le tasche. 

Nella Roma antica, una legge punisce chi ricorre agli incantesimi jettatori per ottenere che i prodotti del campo del vicino passino sul proprio

Strettamente correlata con la superstizione è la scaramanzia, cioè quel repertorio di gesti apotropaici, formule e amuleti a cui si ricorre per scongiurare malefici e disgrazie. Se è vero che tutti gli italiani condividono un patrimonio comune di superstizioni, da quella sul ferro di cavallo ai fantasmi, ce n’è una esportata inconfondibilmente in tutta la penisola da Napoli. Si tratta della jettatura. Secondo l’eminente antropologo Alfonso M. Di Nola, per jettatura si deve intendere l’influenza nefasta esercitata da uomini – ma anche da oggetti e animali – su altri uomini, intenzionalmente o involontariamente. Il suo discredito è legato a un presunto potere speciale dell’occhio, capace di sprigionare un influsso distruttivo, ossia quel “gettare il male” da cui deriva il termine. Nelle Bucoliche, Virgilio attesta che i pastori credevano nella fascinazione jettatoria esercitata sugli agnelli dall’occhio maligno. Una legge delle XII Tavole punisce chi ricorreva agli incantesimi jettatori per ottenere che i prodotti del campo del vicino passassero sul proprio. Nella Taberna del pescivendolo degli scavi ostiensi, un previdente commerciante, per difendersi dagli occhi calamitosi dei concorrenti, si era fatto incidere sul mosaico di una parete: “Invidioso, ti acceco!”. In verità, nelle culture popolari domestiche lo jettatore non opera soltanto attraverso lo sguardo, il cosiddetto “occhio secco” dei dialetti meridionali, ma anche attraverso un insieme di segni distintivi che formano uno stereotipo da aggiungere ai celebri Caratteri di Jean de La Bruyère (1688): il vestire di nero, come nel lutto, il portare occhiali scuri che nascondono gli occhi, apparire magro e allampanato col volto triste e rassegnato, parlare con voce querula, fare discorsi sulle sventure personali o di persone conosciute. E’ il personaggio, per capirci, immortalato da uno straordinario Totò nel film “Questa è la vita” (1954).
Le radici storiche del fenomeno sono remote, almeno quanto la condanna dello sguardo geloso del bene altrui. Gli antichi lo chiamavano “invidia”, che etimologicamente significa “guardare contro”, proprio come il termine ebraico “qinah”. Assai diffusa anche nel Medioevo, nel Settecento napoletano l’angoscia da jettatura assume forme parossistiche. “Perché mai – si domandava Benedetto Croce – si parlò e si scrisse tanto della jettatura, a segno che questa parola […] diventò nota anche ai forestieri, come si vede nei libri di Dumas e Gautier?” (Quaderni della Critica, 1945). 

 Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Giordano Bruno unirono astrologia e magia in una dottrina per svelare i segreti della natura

In questo andazzo dilagante il filosofo scorgeva un intimo piacere, un gusto perverso nella ricerca di argomenti di conversazione poco impegnativi su cui ridere e spettegolare. Non si creda quindi – ammoniva – che la jettatura sia un tema restaurato dalla bassa plebe, ma piuttosto “dalle smorfiette delle vezzose dame, che davano o trasmettevano il tono del prescelto modo di artificiale aborrimento”. A sostegno della sua tesi, Croce – seguace del “Non ci credo, però…” – menzionava come esempio la celebre Cicalata di Nicola Valletta (1787), l’illustre erudito e giureconsulto napoletano che nutriva un timore reverenziale per l’occhio perverso. Alberto Consiglio, che nel 1961 ha riedito il testo con una brillante introduzione, ricorda come lo descrive Stendhal dopo una visita nel suo alloggio: “Ho trovato nella camera uno smisurato corno che può avere dieci piedi di altezza. Spunta dal pavimento come un chiodo. Suppongo che sia fatto con tre o quattro corna di bue. E’ un parafulmine contro la jettatura (la malasorte che un maligno può gettare su di voi con uno sguardo)”. 

La persistenza di tutti questi pregiudizi può sembrare sorprendente in un mondo ipertecnologico, ma il desiderio umano di svelare i misteri del futuro è antichissimo. Così nel corso dei secoli, sono progredite le tecniche divinatorie che sono state suddivise in numerose branche: dall’aruspicina, l’esame delle viscere degli animali in cui erano maestri gli etruschi, al volo degli uccelli in cui eccellevano gli àuguri romani; dalla chiromanzia, vale a dire la lettura in particolare delle mani, alla oniromanzia, o “chiave dei sogni”, già in auge tra i sumeri e di cui abbiamo numerosi esempi anche nella Bibbia. Ma l’idea di poter influenzare le forze della natura e il destino degli uomini con appositi cerimoniali è antichissima. La teurgia (l’arte di evocare le divinità) era praticata da egizi, assiri, fenici e greci. I “papiri magici” del II secolo d. C. dedicati alla dea Iside descrivono un rituale con l’acqua e l’olio identico a quello usato dai maghi odierni per esorcizzare il malocchio. Lo stesso paganesimo era profondamente intriso di magia. Gli dei germanici erano incantatori e veggenti: Odino era il lettore delle profetiche rune (simboli di una sapienza millenaria) e persino Thor, il dio della guerra, operava sortilegi e prodigi. Grazie al sincretismo della sua religione, la Roma repubblicana e imperiale pullulava di taumaturghi, asceti orientali, astrologi, seguaci di culti misterici. Al contrario, per il cristianesimo delle origini “praticare le arti magiche significava intrattenere un rapporto privilegiato con i demoni, gli spettri, i defunti e altre entità immateriali, scavalcando Dio e evocando esseri imperfetti che Cristo aveva posto sotto la sua signoria” (Cecilia Gatto Trocchi, Magia, Enciclopedia Treccani). In tal senso, Tommaso d’Aquino affermava che solo a Dio spettava la scelta di modificare l’ordine naturale delle cose. 

Una riforma di Paolo VI rese facoltativo il festeggiamento di san Gennaro. Un “declassamento” che lasciò di stucco Napoli

Durante il Medioevo la magia fu identificata spesso con la magia nera, anche se i maghi rivendicavano la distinzione fatta da Agostino da Ippona tra “magia perversa”, volta alle  ricchezze terrene, e “magia benefica’’, volta a purificare l’anima. In epoca rinascimentale, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Giordano Bruno incorporarono  l’astrologia e la magia in una dottrina finalizzata a svelare i segreti della natura e a tracciare il cammino dell’anima verso il possesso del Tutto. Tra le due, di certo la più famosa e tutt’ora più praticata è l’astrologia. Questa pseudoscienza, già coltivata dai babilonesi, venne a lungo considerata inseparabile dall’astronomia. Infatti, dallo studio del movimento degli astri gli indovini credevano di poter determinare il destino dell’uomo. Furono gli astrologi greci a fondare l’astrologia come la conosciamo oggi, basata sullo studio dello zodiaco. Prima di venire adottato nell’astrologia, lo zodiaco riprendeva il simbolismo della ruota che indica ciclicamente il trascorrere del tempo visibile in natura (come il moto delle stelle durante l’anno solare e il ricorrere delle stagioni). 

Come è noto, milioni gli italiani consultano fedelmente l’oroscopo sul giornale o in televisione. E’ anzi una rubrica così seguita da essere onnipresente in buona parte delle pubblicazioni, dai quotidiani nazionali alle riviste patinate, dai settimanali economici ai – ahimè – fumetti per bambini. Proprio questi ultimi, particolarmente influenzabili, sono bombardati da costanti messaggi esoterici camuffati da un linguaggio apparentemente innocente. Sortilegi, streghette, incantesimi, sono pubblicizzati e subdolamente insegnati a bambini e preadolescenti attraverso giornaletti e programmi televisivi studiati ad hoc. Il risultato, alquanto inquietante, è quello di avere masse di ragazzini che talvolta non conoscono il nome dei sacramenti ma che conoscono a memoria tutti i segni zodiacali. Senza tuttavia dimenticare che perfino tra gli adulti la lettura dei Tarocchi nel corso dei secoli da gioco è diventata una specie di oracolo, passando per le corti del Rinascimento, l’iniziazione massonica, la psicoanalisi junghiana, la filosofia di Jacques Lacan, gli ambienti new age e la cultura hippie, in grado di svelare le “trame dell’inconscio”.

Nella seconda metà dell’Ottocento, mentre la teosofia di Helena Blavatskij (1831-1891) e l’antroposofia di Rudolph Steiner (1861-1925) conquistavano le élite culturali, nuovi cenacoli di veggenti, sensitivi, medium, cartomanti si contendevano con successo l’interesse delle classi popolari, ma non solo. Infatti, il drammaturgo e mistico irlandese William Butler Yeats (1865-1939) allora confessava: “Credo nella magia, nell’evocazione degli spiriti, anche se non so che cosa sono; credo nel potere di creare a occhi chiusi magiche illusioni nella mente e credo che i margini della mente siano mobili, che le menti possano fluire l’una nell’altra, così creando o svelando una mente o energia unica, poiché le nostre memorie sono parti dell’unica memoria della Natura” (Magia, Adelphi, 2019).

Nella stagione della “belle époque” lo spiritismo era divenuto una moda. E anche un lucroso affare. La maga pugliese Eusapia Palladino (1854-1918) si esibiva come medium in sedute con cui si era guadagnata una fama internazionale. La passione per il medianismo era il sintomo delle inquietudini di una società che, parzialmente secolarizzata dal pensiero positivista, negava alla chiesa cattolica il tradizionale ruolo di intermediazione con l’aldilà. Francesco Zingaropoli e Vincenzo Cavalli, i due occultisti più celebri di Napoli, negli anni Venti del Novecento danno alle stampe una serie di opuscoli per dimostrare che san Gennaro era un fachiro e uno stregone. I loro più agguerriti avversari erano il sacerdote Giovanni Battista Alfano e il medico Antonio Amitrano, esponenti di spicco dell’apologetica ianuariana e autori di un’opera monumentale, Il miracolo di San Gennaro: “Una vera enciclopedia sull’argomento”, come nella prefazione la presentò Agostino Gemelli. 

Il 14 febbraio 1969 Paolo VI approvò con la “Mysterii Paschalis” il nuovo calendario liturgico universale. La riforma rendeva la memoria del 19 settembre, tradizionalmente dedicata a san Gennaro, obbligatoria e solenne a Napoli, ma facoltativa nel resto del mondo cattolico. Il “declassamento” del santo lasciò di stucco la città. Tuttavia, chi non crede di solito non cambia opinione di fronte alle prove. E chi crede non ne ha bisogno. Inoltre, san Gennaro non teme confronti né con la scienza né con la Curia. Perché, nonostante tutto e tutti, i napoletani fanno sempre quadrato attorno al santo. Non per caso alla notizia della sua retrocessione, sui muri di Napoli apparve un invito, vergato da una mano ignota, espressione della antica saggezza partenopea: “San Genna’, fottatenne”.
 

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