più analisi meno emozioni

Meloni neonazista? "Non condivido le parole di Canfora". Parla il rettore dell'Università di Bari

Ruggiero Montenegro

"Penso che un ragionamento sulla guerra debba essere fatta in modo più sereno”, dice Stefano Bronzini. "La riflessione sia basata sui fatti, sia quelli che riguardano la politica internazionale sia rispetto ai giudizi che si possono esprimere sulle persone. Ci misuriamo con una materia tragica”

Di Luciano Canfora e delle dichiarazioni su Giorgia Meloni “neonazista dell'anima”, non “condivide le parole e i toni”. Ma di alimentare una nuova polemica proprio non ha intenzione. E nemmeno l'interesse: “Non è questo il momento”, dice al Foglio Stefano Bronzini, rettore dell'Università di Bari, chiamato in causa dall'onorevole Marco Gemmato, che ha definito un “silenzio assordante” quello dell'Accademia barese sulle parole del professore emerito di filologia greca e latina. Il coordinatore regionale di FdI ha chiesto una presa di posizione netta, rispetto a quanto detto da Canfora al liceo Fermi di Bari – parole da cui lo stesso istituto ha preso le distanze con un comunicato stampa.
 

 

“Ho appreso da lei questa richiesta di Fratelli d'Italia”, risponde con sorpresa Bronzini, perché “un parlamentare della nostra repubblica sa benissimo che non ho nessun potere sui professori emeriti”. E poi, aggiunge con una battuta, “devo dire che è un periodo così vivace del dibattito pubblico, che se dovessi prendere posizione su tutte le cose che vengono dette, passerei il mio tempo a fare controdichiarazioni”. Sulla questione però non ha troppi dubbi, la posizione è chiara: “Non condivido la terminologia, le parole usate da Canfora”, ribadisce. “Il professore comunque ha pieno diritto a esprimersi nei termini che ritiene, poi si vedrà nella sedi competenti”, continua nel ragionamento il rettore, riferendosi alla querela anunciata da Giorgia Meloni. 

Ma il discorso, per Bronzini, è ben più ampio, va oltre l'accademia e si estende a tutta l'informazione: “Penso che una riflessione sulla guerra debba essere fatta in modo più sereno”. Diversamente, lascia intendere, il rischio è quello che “l'interpretazione della realtà si trasformi nel gioco della torre, da cui mi dissocio. Non posso che sollecitare una riflessione basata sulle questioni e sui fatti, sia quelli che riguardano la politica internazionale sia rispetto ai giudizi che si possono esprimere nei confronti delle persone”.

Meno emotività insomma, e più raziocinio, da ogni punto di vista. E dunque, in questo contesto, quale ruolo per l'Università? “Io auspico soltanto che i professori che parlano in tv, sui giornali - e lo fanno a titolo personale - lo facciano in maniera comprensiva per chi vive la tragedia sulla propria pelle e in modo comprensibile per chi ascolta”. Non proprio quello che accade nei salotti mediatici, dove a farne le spese il più delle volte è proprio la comprensione della realtà. Ed è proprio per questo, argomenta ancora Bronzini, che “le università e gli studiosi, devono avere la cautela di sapere che ci stiamo misurando con una materia tragica”.

E così l'auspicio diventa quasi un invito, affinché “i toni si abbassino, proprio per la chiarezza di chi ascolta e fruisce l'informazione, che dovrebbe puntare all'analisi e non alla propaganda”. Come? “Attraverso giudizi lucidi, critici della realtà. Senza sparate, ma con analisi puntuali e con un linguaggio preciso e rispettoso. Il che – aggiunge - non toglie nulla alla tragedia, che mi vede estremamente coinvolto e partecipe”.

Una partecipazione che a Bari si è concretizzata su più livelli. Nazionale, attraverso un programma quadro realizzato dall'ateneo, insieme alla Conferenza dei rettori italiani e al ministero dell'Istruzione, “con cui ospitiamo colleghi e studenti ucraini e anche afghani, perché questa non è purtroppo l'unica guerra”. E poi locale: “Abbiamo fatto inoltre un intervento con le nostre risorse – racconta Bronzini - anche sul bilancio della stessa Università di Bari, che sarà integrato con il contributo che la regione potrà mettere a disposizione, per favorire l'arrivo di docenti e studenti che dall'Ucraina volessero venire da noi. Perché è importante – conclude il rettore – che la solidarietà non diventi un mercato”.

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