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L'ecologia è sana solo se pone l'uomo al centro senza cedere al fanatismo

Sergio Belardinelli

Il "paradigma tecnologico" di cui parla Papa Francesco è la mentalità che nega dignità alla natura, un atteggiamento che può portarci al disastro. Ma ugualmente dannoso è quel biologismo che disconosce la centralità dell'uomo e lo riduce a una creatura tra le altre

"Non c’è ecologia senza antropologia", dice Papa Francesco nella Laudato si’: un’affermazione lapidaria in favore di una “ecologia integrale” che, allargando la discussione ecologica ben oltre l’orizzonte di quello che nella stessa enciclica viene definito “antropocentrismo deviato”, cerca di conferire dignità alla natura (e alla natura umana) senza rinunciare alla centralità dell’uomo rispetto al resto del creato. Cerchiamo di vedere in che senso.  

Più o meno dall’inizio dell’epoca moderna, grazie allo sviluppo della scienza e della tecnica, nel mondo occidentale ha preso piede un atteggiamento dispotico da parte dell’uomo sulla natura, tale per cui quest’ultima è stata poco a poco ridotta a semplice oggetto di dominio, a deposito inesauribile di materiali da sfruttare senza riguardo alcuno, quasi che in quanto natura non avesse altro scopo che quello di fornirci le sue risorse per soddisfare i nostri bisogni più disparati. La scienza e la tecnica come strumenti propter potentiam, secondo la celebre immagine di Bacone; l’uomo come “maestro e possessore” della natura, secondo l’altrettanto celebre immagine di Cartesio. E’ un po’ questo, in estrema sintesi, il senso in cui Papa Francesco parla di “antropocentrismo deviato”.  

Trattasi di una visione che oggi sta barcollando per via dei danni ecologici che ha procurato alla natura e che rischia di procurare anche agli uomini. Se ieri il dominio sulla natura rappresentava addirittura la condizione principale della nostra sopravvivenza, oggi le cose si stanno ribaltando a tal punto che la nostra futura sopravvivenza potrebbe dipendere principalmente proprio da quanto sapremo rispettare la  natura (non soltanto quella che ci circonda, ma anche quella umana). Le tecnologie della vita, i cambiamenti climatici, l’inquinamento dei mari, della terra e dell’aria stanno producendo insomma un vero e proprio cambiamento di paradigma; ci ricordano che, essendo anche noi uomini natura, sarebbe del tutto ingiustificato pretendere che un dominio incontrastato, una totale mancanza di rispetto nei suoi confronti non si ritorcano in qualche modo anche su di noi, sulla natura umana. 

Presi dall’euforia tecnicistica degli ultimi secoli, abbiamo purtroppo dimenticato qualcosa che era evidente già nella metafisica classica, e cioè che anche le cose che ci circondano, dagli animali agli alberi ai fiori, hanno una natura, diciamo pure un telos, una dignità, che non è riducibile all’uso che possono farne gli uomini. Significative in proposito le pagine della Repubblica platonica dove, parlando dell’arte della pastorizia, ci viene detto che, pur essendo senz’altro giusto che le pecore vengano allevate per procurarci la lana e la carne, non è altrettanto giusto che il telos della pecora venga ridotto all’utilità che possiamo trarne. In questa prospettiva il buon pastore è colui che, avendo cura e rispetto del loro naturale telos, alleva le pecore come se il tosatore o il macellaio non esistessero. Altro che i nostri allevamenti, dove gli animali vengono allevati esclusivamente in vista dei vantaggi che possono trarne gli allevatori. Salvo poi accorgerci che magari la loro carne e dannosa per la nostra salute. Un modo come un altro per sottolineare quanto il benessere della natura esterna e quello della natura umana siano strettamente connessi. Non rispettare la prima significa in ultimo procurare danni anche alla seconda. 

Evidentemente è questo l’effetto imprevisto di una certa mentalità ben sintetizzata in quello che Papa Francesco chiama “il paradigma tecnologico”. Un paradigma che, a sua volta, come per reazione, ha dato vita a un altro atteggiamento, ugualmente pernicioso, che potremmo definire “biologismo”. Si tratta di una forma di radicalismo ecologico, il quale, nel tentativo di sottrarre la natura al dominio dell’uomo, disconosce all’uomo la sua centralità, diciamo pure il suo primato, mettendolo sullo stesso piano di qualsiasi altro essere vivente. Siamo tutti figli della stessa natura, si dice e, in quanto tali, abbiamo tutti la stessa dignità. Affermare che un uomo è più importante di un altro animale è semplicemente segno di “specismo”. Tutto sulla terra va salvaguardato allo stesso modo. 

In questa sorta di misticismo biologico convergano atteggiamenti assai discutibili, che vanno dal culto new age di Gea all’avversione per i vaccini, che qui non posso approfondire. E’ comunque proprio a dispetto di tutto ciò che credo vada tenuto fermo un principio antropocentrico. A maggior ragione se questo principio non significa affatto che la natura debba essere ridotta a qualcosa che semplicemente è a disposizione dell’uomo. Come ho già detto, la svolta ecologica della nostra cultura ci ripropone oggi in forma eclatante soprattutto il senso della natura come “limite” della nostra libertà; un limite che ha in sé una dignità che non va calpestata, bensì custodita.

Hegelianamente si potrebbe dire che la cosiddetta “natura esterna” è certamente una natura “per noi”, qualcosa di cui possiamo disporre per i nostri scopi (bando quindi a qualsiasi sciocca demonizzazione della tecnica); ma è anche “natura in sé”, ossia qualcosa, il cui telos non si esaurisce nell’essere a nostra disposizione e che quindi, proprio per questo, chiede anche di essere rispettato. Forse la riappropriazione dell’idea di una “natura umana” come “fine in sé”, ossia come qualcosa di assolutamente indisponibile, più o meno nel senso in cui Kant diceva che occorre considerare l’uomo sempre come “fine” e mai come “mezzo”, passa oggi attraverso l’estensione di certi margini di non disponibilità anche alla “natura esterna”. Sia la natura umana che la natura esterna evocano insomma il bisogno che ce se ne prenda cura. E sta precisamente in questo paradigma del prendersi cura la chiave d’accesso a una ecologia integrale, che, mantenendo l’uomo al centro senza fanatismi, sappia promuovere un nuovo habitus culturale per l’oggi e per i giorni a venire, un modo rispettoso di guardare a noi stessi, agli altri e a tutto ciò che vive sul nostro pianeta.

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