Extinction rebellion (LaPresse)

La nuova religione dell'ambientalismo 

Giulio Meotti

“Il Dio verde” e le sabbie mobili di un culto apocalittico da cui sembra impossibile dissentire. Con i suoi idoli, giorni santi, templi, messe, tabù ed eretici, l’ecologismo in occidente ha preso il posto del cristianesimo. Un libro  

Undicesimo comandamento: muoia l’Occidente! Cosa vi chiedono? Che diventiate più poveri, che consumiate meno carne, che viaggiate di meno, che d’estate soffriate un po’ il caldo e d’inverno il freddo, che facciate a meno dell’auto non elettrica, che il vostro figlio unico “alla cinese” salti la scuola per marciare per il clima, che facciate spazio ai “dannati della Terra”, che accendiate un cero votivo a Nostra Signora dell’Apocalisse Verde e che vi pentiate anche (e soprattutto, per coloro che lo sono) di essere bianchi occidentali giudeo-cristiani. Perché come spiega Laurent Larcher in La face cachée de l’écologie, “il cristianesimo nell’ecologia è la religione da superare per ritrovare il senso della natura”. 

   
Sul New York Times, il giornale punto di riferimento dei media mondiali, ci si domanda se l’estinzione del genere umano, in fondo, non sia poi tutta questa tragedia. “Una mortalità su larga scala sarebbe cosa buona ed è nostro dovere provocarla”, scriveva già William Aiken in Earthbound del 1984. Tutto qua. Se lo farete, avrete contribuito alla salvezza del pianeta. 

 
Non vogliamo la fine del mondo, ma di un mondo. Il nostro! D’altronde, la decadenza è una forma di transizione da un mondo all’altro. 
Viene detto apertamente. 
Seminare il panico. 
Generare la paura. 
Atterrire. 
Sconvolgere. 
Angosciare. 
Numeri a sei cifre. Fine del mondo in vent’anni.
Non un giorno senza il suo allarme. 
Non un giorno senza il suo incendio devastante. 
Non un giorno senza la sua profezia del giorno del giudizio dell’Onu. 
Non un giorno senza un nuovo negozio biologico. 
Non un giorno senza un discorso vendicativo. 
Non un giorno senza il suo programma televisivo sul riscaldamento globale.
Ecologismo mattina, mezzogiorno e sera. 

 
A ciascuno di noi viene ordinato di prendere posizione. Gli scettici sono scomunicati come gli atei e i libertini in passato. I devoti verdi non tollerano i tiepidi o i miscredenti. Ogni contestazione razionale è bandita; tutta l’ironia è sospetta. Il greenismo, che non c’entra niente con l’ecologia liberale e cristiana, serve a spiegare che è tempo di porre fine ai popoli e alle nazioni, ai Paesi e agli Stati per beneficio di un governo planetario, una 1984 ecologista. Chi non potrebbe condividere una simile preoccupazione? 

  
Il nuovo conformismo è verde. E tutti i segni di un totalitarismo verde si manifestano davanti ai nostri occhi: massiccia propaganda, manipolazione della gioventù, restrizione delle libertà, psichiatrizzazione degli avversari, culto della personalità. Se ci fosse bisogno di una immagine di questo nichilismo, eccola: la statua di Greta Thunberg in una grande università inglese. Mentre a Edinburgo era in corso una campagna per abbattere la statua di Adam Smith, una scultura in bronzo di Greta del valore di 24.000 sterline veniva installata alla Winchester University. E’ la prima rappresentazione a grandezza naturale della ragazzina svedese. Può una grande cultura morire di ridicolo? Non è mai successo prima. Fino a oggi. 

   
“L’ambientalismo ha tutti i tratti distintivi di una causa di sinistra”, ha scritto il compianto filosofo inglese Roger Scruton. “Una classe di vittime (generazioni future), un’avanguardia illuminata che combatte per loro (gli eco-guerrieri), potenti filistei che li sfruttano (i capitalisti) e infinite opportunità di esprimere risentimento contro l’Occidente”. 

  
I lobbisti green stanno usando tattiche populiste, con l’utilizzo di bambini che sanno molto di tecnocrazia e poco di democrazia, in cui domina l’uniformità anonima immaginata da Zamjiatin, il condizionamento e il controllo sociale. Questa ideologia verde annuncia l’avvento contemporaneo di una società femminilizzata e gender fluid. E’ l’“eco-femminismo”, l’unione di nuovo femminismo ed ecologismo. 

  
Già Ivar Giaever, premio Nobel per la Fisica, teme che questa ortodossia verde sia diventata una vera e propria Chiesa. E neanche Freeman Dyson, il grande fisico americano dell’Institute for Advanced Study di Princeton, sopportava di vedere l’ecologismo trasformato in una religione. Chiunque oggi esprima tali opinioni viene subito etichettato come anti-scienza. Ma Dyson faceva parte del genio della scienza. “L’ambientalismo ha sostituito il socialismo come la principale religione laica”, spiegava. L’ecologismo sta edificando un vero e proprio culto: ha i propri giorni santi (la Giornata della Terra), i propri tabù alimentari (veganesimo e campagne per ridurre il consumo di carne), i propri templi (le università occidentali) e proselitismo (gli scettici sono trattati da eretici e peccatori malvagi). È un piccolo mondo di opportunismo appena dissimulato, opportunismo delle aziende che operano greenwashing indecenti, e opportunismo degli attori, alla ricerca di potere e clic. 

  
In un’agenda ecologista religiosa non c’è spazio per discutere della bruttezza dei casermoni popolari che abbiamo costruito, della morte demografica dei nostri borghi e paesi, della devastazione del paesaggio causata dalle pale eoliche, della deturpazione delle periferie e città, della disgregazione dei rapporti umani, familiari e culturali. Sono le nuove sabbie mobili verdi da cui è difficile uscire una volta entrati, tant’è che non è più chiaro se l’obiettivo sia salvare il pianeta dalle emissioni di carbonio o liberare il mondo dall’uomo bianco. 

  
Il clima è diventato il cavallo di Troia di un’ideologia anticapitalista e antioccidentale. Le persone sono brave quando coltivano carote sul tetto di un grattacielo di Milano, ma sono persone pericolose quando vogliono proteggere la propria cultura. Si deve chiedere la salvaguardia di una specie di rana africana in via di estinzione, ma non dei cristiani africani minacciati di genocidio. Le persone sono progressiste quando riducono il consumo di carne, ma sono persone intolleranti quando sospettano dell’islamismo.   Nella sua verbosità, la sinistra ha più volte parlato di “convergenza delle lotte”. La convergenza di ecologisti, islamisti, neofemminismo, LGBTQI+++, immigrazione… Sono i Verdi etnofeticisti. Vedono le culture straniere come strumenti per salvare l’Occidente da se stesso. Ha spiegato il grande sociologo francese Jean-Pierre Le Goff che “l’ecoideologia rafforza la visione nera e penitenziale della nostra storia occidentale, che sarebbe responsabile di tutti i mali ecologici… In contrapposizione a questa visione nera, l’utopia di un’umanità riconciliata con se stessa è reinvestita e naturalizzata nell’ecologia: la salvaguardia del pianeta diventa il nuovo principio unificante di un mondo fraterno e pacificato che ignorerebbe i confini, le differenze tra nazioni e civiltà, metterebbe fine alle contraddizioni e ai conflitti”.

  
Oggi sembra che non ci sia più spazio per pensare. Ma nel 1992 uscì un appello di 500 scienziati, tra cui 62 premi Nobel, contro l’“ecologismo irrazionale”. Non si dicevano indifferenti ai problemi dell’ambiente, ma alla tendenza fondamentalista che trasforma l’ecologia in dogma e in nuova religione. Un ecologismo che si fa “terrorismo ecologico” e che diventa strumento di scalate politiche. 

  
La magia di questa trovata di marketing è far credere al trasferimento di potere dall’oligarchia alle folle. Politici, celebrità e scienziati si comportano come groupies di fronte a un idolo prepuberale, Greta, un fenomeno planetario di suggestione largamente supportato dai media, in cui la folla segue e diffonde il fenomeno, convinta di andare verso un domani sempre migliore. “Se non vuoi vivere la fine del mondo, segui le nostre istruzioni”. Chi contesta, è fuori dall’umanità. 

  
I “progressisti” si trovano bene con le grandi cause globali, amano pensare in grande, al pianeta, assumere posizioni moralistiche vantaggiose denigrando gli egoismi nazionali. La questione climatica offre loro l’opportunità di indulgervi senza ritegno. 
E’ il grande harakiri dell’Occidente, il lusso delle società stanche.
 

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.