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La rabbia dei "completisti" quando si parla solo di Russia o solo di Ucraina

Paolo Nori

"Ti sei dimenticato dei neonazisti Ucraini". "Dov'eri quando il Donbass soffriva?". Mi vien da rispondere che ero a casa mia a fare il mio mestiere. Che per esempio mi consente di dire che è stupefacente vietare l'insegnamento del russo come fanno in occidente molte piattaforme online

Su Instagram una ragazza che si chiama Elisabetta mi ha scritto: “Salve, ho letto il suo ultimo articolo il quale mi ricorda una specie di delirante (in senso positivo) flusso di coscienza. Però mi lasci dire che lei pecca di qualunquismo e di una posizione abbastanza furba, nel senso che mi pare strizzi l’occhio un po’ a entrambe le parti. Come fa a non sapere, lei che è tanto esperto e cultore di materia russa, del neonazismo in Ucraina?! Perché non ha scritto nulla di battaglioni come Azov, Aidar e di organizzazione come Praviy Sektor? Perché non parla di come lì ci sia il culto di figure fosche come Stepan Bandera? Perché non parla dell’odio etnico degli ucraini dell’ovest verso quelli dell’est?! Perché non parla di come il governo ucraino di Poroshenko e di Zelensky abbia bombardato per anni il Donbass?! Ecco la sua mancanza: non dice che in Ucraina vi è un conflitto civile da anni ignorato dall’occidente.

Non cita il Donbass, non è molto onesto intellettualmente. E tutto quello che dico ha fonti e video, è tutto documentato. 

P. S.: quando i suoi colleghi venivano sospesi in università senza il green pass lei dove era? Quando il Donbass per anni soffriva lei dove era? Non crede sia ipocrisia questa?”.

Io le ho risposto: “Grazie Elisabetta, le auguro di stare meglio, in futuro”. Soprattutto la menzione del green pass, mi sembrava un segno di malessere. Lei, dopo un po’ mi ha risposto: “Meglio stare ‘male’ ora ed essere coerenti che ipocriti ed opportunisti. Le auguro di aprire gli occhi”. Adesso, a parte il green pass, che lì secondo me un po’ ha torto, Elisabetta ha ragione, io non so niente, di Azov, di Aidar, di Praviy Sektor e di Stepan Bandera, perché mi sono occupato d’altro. E alla domanda dov’ero, che è la domanda che, in Russia, fanno quelli che appoggiano Putin a quelli che Putin lo contestano, mi vien da rispondere che ero a casa mia a fare il mio mestiere, e che, dopo meno di due settimane di guerra, così come non sono in grado di tenere una conferenza su un autore ucraino, non sono in grado di dare un giudizio geopolitico. E non lo do, perché cerco di non parlare, se non in forma interrogativa, delle cose che non conosco. Mi piacerebbe capire, prima di dire, chissà se ci riesco.

Intanto delle cose che ho studiato, come la lingua russa, mi sembra di potere dire qualcosa. Per esempio che è stupefacente che in occidente molte piattaforme online vietino l’insegnamento del russo. Un ragazzo che si chiama Tommaso mi ha scritto che oltre a Coursera, di cui ho scritto ieri, anche le piattaforme Preply e Italki hanno proibito il russo; lui lo stava studiando con Irina, una ragazza di Mosca alla quale hanno chiuso il profilo e che non può accedere alla cifra che le devono, che lei ha già guadagnato, per le lezioni che ha già fatto, “perché sono stati congelati i circuiti internazionali con cui poteva riscuotere i soldi che guadagnava”. E lei, mi ha scritto Tommaso, è disperata. Non ha di che mangiare. Cosa deve fare, Irina? Mi vengono in mente quelli che dicono che le sanzioni hanno senso perché così il popolo russo è spinto a liberarsi dell’oppressore. Irina allora deve organizzare un attentato a Putin? Così poi può ritirare i soldi che si è guadagnata facendo il suo mestiere di insegnante di russo? Ipotesi interessante.

A quelli che sostengono questa tesi, che le sanzioni sono una spinta, per il popolo russo, a liberarsi della propria classe dirigente e a sostituirla con un’altra più presentabile, per così dire, mi viene da chiedere se le sanzioni contro l’Iran hanno prodotto il cambiamento della classe dirigente iraniana. E se quelle contro Cuba hanno prodotto il cambiamento della classe dirigente cubana.

Io, tanti anni fa, subito dopo la laurea, ho fatto, per un po’, l’interprete dal russo. Una volta ho lavorato tre giorni a Salsomaggiore con una delegazione russa e alla fine non mi hanno pagato. Ho sollecitato due o tre volte e poi ho telefonato e ho detto: “Tenetevi i soldi, che vi vadano in medicine”. E mi era bastato, perché avevo altri clienti che mi pagavano. 

Irina non si può accontentare di disprezzarci. Credo che culli, dentro di sé, un giudizio più negativo, di noi occidentali. E non so darle torto.

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