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Lo studio, la scrittura, l'impegno e il vento che tira. Il saggio di Sabino Cassese

Giuseppe De Filippi

Nel suo ultimo libro il giurista analizza il ruolo degli intellettuali e del loro rapporto con la società. Lo fa con il suo abituale e molto efficace stile cartesiano, in una materia in cui, invece, la tentazione di voli fantasiosi è continua e seduttrice

Sabino Cassese è abituato a usare le parole con precisione e a non sprecarle. Una capacità e un’avvedutezza molto opportune visto il formato, da mini saggio tascabile, della collana “Parole controtempo” della casa editrice Il Mulino, che ha chiamato l’ex giudice costituzionale, ben conosciuto dai lettori di questo giornale, a cimentarsi con la definizione degli intellettuali, del loro ruolo, del loro rapporto con la società. Cassese riesce a tenersi nella brevità richiesta ma nelle prime pagine deve, davvero per forza, inquadrare il momento storico e accennare a temi giganteschi, come la crisi delle competenze o la fase di grande espansione del populismo. Cita nelle prime righe, come pericolo nefando per gli intellettuali, quell’“uno vale uno” poi, fortunatamente, non applicato dai suoi stessi promotori (perché semplicemente non era applicabile e questa è la ragione per cui si scrive, avendo qualcosa da dire, degli intellettuali), cui potremmo aggiungere il dileggio salviniano dei “professoroni”, giusto per completare il quadro di ciò che la schiatta degli intellettuali ha rischiato durante il cupo primo governo di Giuseppe Conte, peraltro, professore universitario e di materie legali. Lo notiamo perché Cassese sembra escludere gli scrittori o gli autori teatrali o, perché no, televisivi, nella sua necessaria riduzione dell’insieme, della categoria, di cui si sta occupando, circoscrivendola ai professori universitari e, sembra di capire, con qualche interesse per il diritto. Una scelta che gli permette di mantenere il suo abituale e molto efficace stile cartesiano, in una materia in cui, invece, la tentazione di voli fantasiosi o di affermazioni fondate solo su impressioni o su auspici è continua e seduttrice.

 

Cassese propone una serie di compiti e caratteristiche perché l’intellettuale svolga il proprio compito. Citandole rapidamente riguardano l’uso pubblico della ragione, l’attività di continuo risveglio del dibattito pubblico e della cultura corrente, la capacità di suscitare proposte su temi politici e sociali, il cosmopolitismo, il ruolo di definitori di concetti e parole, la funzione di collegamento con il passato e con il pensiero del passato, che Cassese indica come la capacità di trasformare i morti in antenati, quindi rami e frutti di una specie di albero genealogico dell’analisi e della conoscenza. Tutto senza atteggiamenti da vati o da visionari, ma dando invece un peso speciale alla fatica dello studio e della scrittura, cui può seguire (ma non necessariamente) l’assunzione di un ruolo pubblico. Stando sempre attenti a non debordare. Perché accostandosi alla definizione dell’intellettuale da parte di un grande giurista italiano non può non emergere quella sana diffidenza verso i ruoli da trascinatori o da rivoluzionari del pensiero che non sono mai piaciuti ai nostri migliori studiosi, col corollario dell’ammirazione, sempre però temperata, per momenti storici come l’illuminismo, nei quali poteva sembrare che il ruolo degli intellettuali fosse quello di cambiare e determinare la storia, ripartendo da zero. 

 

Una delle citazioni, tutte scelte con criterio economico e quindi mai ridondanti, è da Pasquale Villari, quando, di fonte a chi sosteneva che “bisogna aver fede nella libertà, il secolo, il progresso, i lumi” consigliò “spegnete i lumi e andate a letto”. E’ lo stesso approccio crociano all’illuminismo e ci rimanda a quel ruolo di trasmettitori del pensiero del passato, alla citata trasformazione dei morti in antenati, perché nessuna epoca cancella tutto e nessun lume può accecarci fino a cancellare le luci precedenti. O ancora, altra citazione presa dal saggio di Cassese, c’è finalmente un poeta, ma non proprio un campione dell’intellettualismo engagé, come Jacques Prevert, con una poesia che esordisce “Non bisogna lasciar giocare gli intellettuali con i fiammiferi” e chiude con “Se lo si lascia solo / Il mondo mentale / Mente / Monumentalmente”. 

 

Cassese è cartesiano nel modo di procedere, ma non è estremista del culto della ragione. Le due cose si possono tenere insieme, ci vuole un po’ di fatica ma è una fatica produttiva e grazie alla quale si produce forse l’unico approccio possibile alla definizione, oggi e in Italia, della figura pubblica dell’intellettuale. L’impegno non è spacconaggine, presenza (magari televisiva) un po’ piaciona. L’intellettuale fedele a quel tipo di impegno, scrive Cassese, era quello che si “buttava in politica e per forza era ideologicamente schierato”. Ma quella strada, o scorciatoia, non è suggerita in questo saggio, per indicare, invece, ciò che fin dal titolo ironico raccomandava l’autore inglese Stephen Spender, in Engaged in Writing. Perché l’impegno, dice Cassese, è “non abbandonare il proprio mestiere di studiosi, ma allargarlo, farvi partecipare un pubblico più vasto”.

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