De Chirico, gli archeologi  

La sensibilità contemporanea spiegata dalla filosofa Svenja Flasspöhler

 Ginevra Leganza

L'emotività smisurata è dovuta all'abbattimento delle disuguaglianze portato dalla civilizzazione, che ha predisposto le persone a un senso di vulnerabilità più accentuato ed ha reso i maschi e le femmine sempre più capricciosi

C'è libro pubblicato in Germania che muove il dibattito ai connotati dell'uomo contemporaneo. E' il lavoro della filosofa Svenja Flasspöhler, originaria di Münster e autrice di Sensibel. Über moderne Empfindlichkeit und die Grenzen des Zumutbaren (Klett-Cotta, 2021. Sensibile. Sulla suscettibilità moderna ei confini di quanto è). Flasspöhler aveva già schivato i burroni del conformismo occidentale nel 2018 firmando un pamphlet sul MeToo. All'epoca sosteneva che le donne del movimento promuovessero un atteggiamento di femminilità decisamente passivo, dipingendo se stesse come agnellini innocenti dinanzi a un fallo onnipotente. Il pamphlet, intitolato Die Potente Frau (La donna potente), le valse uno scontro con la twittereggiante Anne Wizorek, la femminista tedesca che nel 2014 esortava le seguaci a segnalare su Amazon le recensioni negative al proprio libro in quanto redatte da utenti maschilisti.

  
Flasspöhler torna oggi con un lavoro più corposo sull’emotività smisurata, caratteristica dei nostri giorni (oltre che dell’avversa Wizorek) e causa prima del fatto che tutti – maschi e femmine – siamo sempre più capricciosi. Un libro che approfondisce alcuni punti già posti nell’opuscolo sulla donna forte e che la Welt posizionava al secondo posto fra i saggi da leggere alla fine del 2021. 

  
Per spiegare quanto il problema della sensibilità ci attanagli, s’immagina l’antitesi dell’uomo schizzinoso: un cavaliere dell’XI secolo. Manesco, carnivoro, stupratore, probabilmente maleodorante, senz’altro ripugnante. Il buzzurro – ancora in anticipo rispetto ai civilizzati cavalieri cortesi – si chiama Johan. L’esperimento è quello di figurarsi l’omologo odierno, ovvero la figura maschile che incarni l’atmosfera presente come Johan incarnava quella passata. All’alba del III millennio, Johan viene ribattezzato, ovvero diminutivizzato. Si chiama Jan, ed è un mansueto insegnante vegetariano. Jan ha una moglie con la quale, in ottemperanza all’invasamento femminista, sceglie di non spartire il talamo. Per non avvelenare Madre Terra, Jan non possiede un’automobile. E’ padre di ragazzini sensibilissimi che, viste le premesse, di certo apparterranno alla razza snowflake, genia in espansione costante. Snowflake sono quanti si sciolgono in lacrimoni come niente, come si scioglierebbe appunto un fiocco di neve. I figli e le figlie di Jan sono i moderni, per i quali ogni critica ha il tono di un’offesa, ogni flirt rassomiglia a una molestia, figli e fautori della famigerata cancel culture. Per Flasspöhler la sensibilità militante è l’estrema punta del progresso. L’uomo contemporaneo, emergendo dai flutti della storia come da un lavacro, è diventato un delicato fiorellino. Basta un tocco perché appassisca. Il discorso è chiaro: la civilizzazione implica un abbattimento delle disuguaglianze, un assottigliarsi dei confini fra classi sociali e identità sessuali, che corrisponde per paradosso – come già rilevava Alexis de Tocqueville – a un senso di vulnerabilità più accentuato. L’uomo è sempre più femminilizzato mentre il femminismo della donna non sfodera artigli orgogliosi ma s’incardina su basi vittimistiche

 

A ben vedere, secondo Flasspöhler, la sensibilità si sdoppia in due rami (e qui si respira il profumo di un certo lascito nicciano): esiste una sensibilità passiva, tipica dei fiocchi di neve, delle femministe alla Wizorek e in generale di tutti i suscettibili che, mancanti di tempra dialettica, frignano o al più rispondono “ok boomer”; ma esiste anche la sensibilità attiva, caldeggiata in questo libro. Oltre i ricatti e i lamenti, c’è il polo opposto che Flasspöhler chiama “resilienza” (lemma volgare, ma associato in questo caso alla nicciana capacità di trasformare le ferite in vortici di energia). La sfida è quella di fare in modo che i due poli – sensibilità e resilienza – si mitighino a vicenda, far sì che Johan e Jan sappiano trovare una sintesi nella medietà delle cose. La filosofa spiega, in fin dei conti, quanto il pianto sia ormai un tic tutt’altro che innocente e quanto all’isteria cancellista e vittimistica funga d’antidoto l’antichissimo, mai superato, approccio del giusto mezzo. 

 

Di più su questi argomenti: