(Photo by Vittorio Zunino Celotto/Getty Images) 

dall'archivio

Oggi Umberto Eco avrebbe compiuto novant'anni

Dal semiologo abbiamo imparato a distinguere tra “Apocalittici e integrati”. Abbiamo imparato che si possono trovare interessanti Superman e Charlie Brown anche dopo aver studiato Tommaso d’Aquino. Abbiamo imparato che non tutti nel Gruppo 63 erano privi di senso dell’umorismo

Il 5 gennaio 1932, esattamente novanta anni fa, nasceva ad Alessandria Umberto Eco. Scrittore, accademico e traduttore di fama mondiale. La sua grande notorietà la si deve, tra le altre cose, allo strepitoso successo del suo primo romanzo Il nome della rosa. Era il 1980 e, come scritto dal Foglio, tutta l'accademia italiana moriva d'invidia per quel bestseller italiano che fu in grado di scalare le classifiche internazionali.

 

Il semiologo alessandrino, laureatosi all'Università di Torino in filosofia nel 1954, pubblicò il suo primo saggio già nel 1956, dal titolo Il problema estetico in San Tommaso. Sempre in quegli anni vinse un concorso Rai per l'assunzione di telecronisti, ma alla fine degli anni Cinquanta decise di abbandonare per dedicarsi al mondo editoriale. Divenne, infatti, codirettore editoriale alla Bompiani, dove restò fino al 1975. In contemporanea anche grazie alla pubblicazione di alcune opere di critica letteraria, come il saggio Opera aperta,  nel 1961 ha inizio la sua carriera accademica, ottenendo la delega di professore incaricato in diverse Università italiane, tra cui Torino, Milano, Firenze e per finire Bologna, dove ottenne la cattedra di semiotica.

 

Sempre nel 1961, a soli ventinove anni, fu l'autore di un testo fantasma, ormai introvabile, scritto a quattro mani, insieme a Roberto Leydi, dal titolo Shaker. Il libro dei cocktail (Pizzi Editore); un allegro, colto e ironico volume sull'arte della mixologia, dove il giovane semiologo illustra con dovizia di particolari la ricetta per produrre nella propria vasca da bagno un buon gin speziato.

 

Eco ha saputo conciliare, tanto nei suoi romanzi quanto nelle sue opere saggistiche, l'alto e il basso, il colto e il popolare perché era fermamente convinto che qualsiasi forma di gerarchizzazione fosse un impoverimento della cultura. Come scrivevamo qui, nel giorno della sua morte, "da Umberto Eco abbiamo imparato a scagionare 'l’infame che sorrise', il cattivo ragazzo sfuggito alla melassa di Edmondo De Amicis in “Cuore”. Abbiamo imparato a distinguere tra 'Apocalittici e integrati', schierandoci dalla parte degli integrati (anche nella versione 'non siamo l’ultima generazione al mondo dotata di intelligenza e buon senso': tutti ne sono convinti, da secoli; tutti si sono finora sbagliati, perché dovremmo avere ragione noi?). Abbiamo imparato che si possono trovare interessanti Superman e Charlie Brown anche dopo aver studiato all’università l’estetica di Tommaso d’Aquino. Abbiamo imparato che non tutti nel Gruppo 63 erano privi di senso dell’umorismo".

   

 

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