L'essenza delle cose non prevede curve

Dai ritratti pop a quelli di Dante, Virgilio e Beatrice al Pirellone. Chiacchiera con No Curves, uno dei massimi esponenti della Tape Art. Colori, linee rette e impronte digitali. E l'amore per il nastro adesivo che è “manipolabile e infinito. Pulito e preciso. E ti si attacca addosso”

Maurizio Baruffaldi

Si fa chiamare No Curves. Nessun altro nome è concesso. Trasforma tutto ciò che risponde alle leggi del Pigreco in un intreccio di linee rette. “Voglio tagli netti. Stilizzazione. E solo il nastro adesivo può raggiungere una tale perfezione”. Ha iniziato manipolando le pubblicità sui muri e sulle pensiline delle fermate del tram. Furtivo, notturno, in qualche modo fuorilegge. Poi gliele hanno chieste, le immagini del marketing, a tutti i livelli, e lui le ha trasformate in opere d’arte. Ritratti di icona pop, di campioni di Formula Uno, cover di dischi, un vestito extralarge per l’Enrico Toti, il sommergibile a secco più famoso del mondo, e quello recente e succinto per la BMC della campionessa mondiale di bike/cross. Sono solo alcuni esempi della sua psichedelica produzione, nella quale ci si può tuffare cliccando sui suoi social.

 

 

Ce la raccontiamo nel suo studio, mentre completa le tre opere dedicate all’anniversario numero 700 dalla morte del sommo Dante, ora esposte a Palazzo Pirelli fino al prossimo autunno. I segmenti di colori sul plexiglass sono ovunque, lampi frenetici, lui si muove altrettanto frenetico, mentre risponde, divaga, “Pensa all’uomo che ha iniziato a incidere con la pietra, e le curve venivano rotte, come fa il mio adesivo”, poi arriva il momento dell’agire e posa lo sguardo a pochi centimetri da quello cupo del suo Dante: preme il pezzo di nastro nel suo binario e con il taglierino, ormai protesi della mano sinistra, rifinisce il taglio in precisione. 

 

 

Di fianco al poeta ci sono un azzurro Virgilio e un’abbagliante Beatrice. L’immagine di Dante è un canone, ma per i volti dei due compagni di viaggio a chi ti sei ispirato?

“Per Virgilio sono andato a contemplarmi tutte le statue di filosofi e imperatori, greci e romani. Cercavo… come veniva scolpito il pensiero, ecco. Alla fine ho creato una sintesi. Con Beatrice ho cominciato una ricerca simile a Virgilio, però poi sono finito dritto nel mio immaginario di donna: colpo di fulmine, una luce che arriva di traverso, che taglia a metà il volto, una sorta di ambiguità che ti tenta".  

 

E il nastro adesivo, quando ha iniziato a tentarti?

“Dal ferramenta. Ho sempre avuto un’attrazione per gli arnesi, per il loro design e perché dipendono dalle tue mani e vanno oltre. Il nastro adesivo poi è manipolabile e infinito. Pulito e preciso. E ti si attacca addosso.”

 

La classica illuminazione. 

“Più che un’illuminazione, è il riconoscersi, percepire un’immediata familiarità con gli oggetti. Si cercano piacere, ispirazione e caratteristiche anche nelle cose, oltre che nei luoghi e le persone: un costante appagamento dalla forma sempre diversa”.

 

Una forma di ossessione, necessaria all’artista.

“Che non è ripetitività, il produrre tutti i giorni: quello è solo un modus operandi che ti aiuta a migliorare. L’ossessione è il puro pensiero, costante e ostinato, anche senza azione. Conta la frazione in cui porto a termine, quel pensiero. Quando metto quel pezzo di adesivo, proprio lì”.

 

La pittura diluisce e inventa il colore personale. Con il nastro hai solo la possibilità dell’accostamento e del contrasto. 

“Guarda che anch’io lo invento, il mio colore. Lo riproduco. La precisione dei colori insieme, la loro livellatura, ti può far vedere colori e luci che esistono solo nei tuoi occhi e nella tua mente”.

 

Risponde di getto, poi si schernisce. Rimbalza continuamente tra la pulsione alla profondità e il bisogno di alleggerire tutto. Lo provoco in profondità. La linea retta è la linea degli uomini, quella curva la linea di Dio. Parola di Antoni Gaudì.

“Ma anche in natura la curva non esiste. Se ingrandisci fino all’invisibile all’occhio ti accorgi di miliardi di rette e triangolini. L’essenza cellulare non prevede curve. Più ti avvicini e più intuisci quella cosa lì, l’organismo cellulare. Senza paragoni onnipotenti, ovviamente, ma anche le mie opere vanno guardate a distanza: da una certa percepisci le forme, da vicino l’occhio va sul colore, sul labirinto geometrico”. 

 

Il fatto che non esista la curva, linea di Dio, forse è la fantomatica chiave per dimostrare che pure Lui sia un’illusione ottica. E chiudo la parentesi atea. Anche le opere d’arte hanno l’ambizione all’eternità. Non si stacca o deforma, col tempo, il nastro adesivo?

“Funziona come qualunque quadro: se lo lasci all’umido, alla luce diretta del sole, la pittura si rovina, si altera. Spesso le mie opere sono sotto vetro museale, pensato per proteggerlo e per rifrangere la luce”.

 

Com’è stato invece ricoprire il sommergibile Enrico Toti, che ha già una bella forma estrema, e una precisa identità?

“Come base avevo un concetto Moby Dick. Poi sono andato d’istinto, in automatismo. Tecnicamente, invece, avevo il problema che il sommergibile è circolare. Per far percepire la linea dritta dovevo calcolare quanto dovessi…”

La parola curva è tabù. 

“… piegarla, diciamo.”

 

 

Dal volume del sommergibile alla magrezza aerobica della bicicletta BMC

“Ma in quel caso c’era lei, Pauline Ferrand-Prevot, 6 volte campione del mondo MTB. Lei e la bicicletta sono inscindibili. Abbiamo parlato, ho cercato di individuare la sua personalità, per farla ‘aderire’ al telaio. E dietro la calma, la riservatezza, ho scoperto un carattere infuocato, quasi una fiera, che si scatena in gara. Ho scelto l’icona di una pantera, sul tubo di sterzo. Poi l’arcobaleno di colori, quello che identifica il campione internazionale: il mondo ai sui piedi, o meglio, ai suoi pedali”.

 

Sul pavimento i contenitori industriali dove sono ammucchiati gli anelli di nastro, di vario consumo e grandezza. Me ne sto lì a guardare quel caos arcobaleno, quell’equilibrio precario di cerchi. 

La tua tavolozza di colori è tutta curve. Che effetto ti fa guardarla?

“Mi fa venir fame” risponde al volo. “Per questo mangerei sempre”. Non si direbbe a vederlo così asciutto. Probabile che sia la tape art, a bruciare parecchio. Impugna lo smartphone e chiama per prenotare un tavolo dove pranzare. 

Partiamo dal marketing e incrociamo arte, design, installazione, moda e pure un po’ di ingegneria. 

“Mettici pure meccanica. Oggi si fa un gran parlare di NFT, la certificazione d’autenticità di un’opera digitale: io produco totalmente a mano, artigianale, no robot, e la certificazione di autenticità è nei miei residui umani: la corniciaia mi dice che diventa matta a togliere le impronte digitali dappertutto, e non solo: se metti una luce UV ci riconosci frammenti di pelle, e pure di sangue. Infinitesimali, ma ci sono.” Rigira le mani sotto gli occhi. “Mi sarò tagliato mille volte, eppure loro tornano sempre pulite, magre, uguali”.

 

Quindi prende l’anello di un nastro arancione entusiasta, ne sfila una buona lunghezza e me la incolla sul foglio dove prendo appunti. 

Le parole non servono più.

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