Le scuse di "Apu". Nuovi recinti per la comicità dei Simpson

Giovanni Battistuzzi

Il doppiatore americano che ha dato la voce al gestore indiano del Jet Market di Springfield chiede scusa a tutti gli indiani. Era da un po' che Apu se la passava male nel cartone per il fuoco incrociato contro di lui da parte dell’opinione pubblica

Hank Azaria è un comico newyorkese, uno di quelli bravi, ma che in America conoscono soprattutto come doppiatore. Tra i tanti personaggi a cui ha prestato la voce il più noto è quello di Apu Nahasapeemapetilon, per tutti solo Apu, il gestore indiano del Jet Market di Springfield, uno dei personaggi secondari dei Simpson che chi guarda questa serie animata ricorda di più. Lo è stato dalla ottava puntata della prima serie del cartone, dal 25 febbraio 1990 (in Italia uscita il 22 ottobre 1991). 

 

Hank Azaria non è più la voce di Apu da quasi un anno. E non lo è più perché non era più il caso di esserlo. Non per ragioni economiche, all’epoca parlò di distanze di vedute con la produzione. Nei giorni scorsi ha spiegato a Dax Shepard, per il suo podcast Armchair Expert, le ragioni della scelta: “Chiedo davvero scusa. È importante. Chiedo scusa per la mia parte nella creazione di Apu e il modo in cui gli stereotipi che si porta appresso hanno contribuito a definire per decenni le persone di origine indiana in America. Una parte di me sente la necessità di andare da ogni singola persona indiana in questo Paese e chiedere scusa personalmente. E a volte lo faccio”.

 

Il personaggio di Apu era da un po’ che se la passa male nei Simpson, ben prima dei primi dubbi di Azaria e del suo seguente addio alla serie. E non per le rapine ricorsive che subisce da Serpe, il delinquente della serie, o per i taccheggi di Patata, Secco e Spada, i tre bulli della scuola di Bart e Lisa, ma per il fuoco incrociato contro di lui da parte dell’opinione pubblica. Soprattutto dopo la pubblicazione del documentario The Problem With Apu di Hari Kondabolu. Il comico americano di origini indiane raccontava i problemi di discriminazione e razzismo subite per decenni dalle persone dell’Asia meridionale anche a causa del personaggio di Apu Nahasapeemapetilon, per molti anni uno dei pochi personaggi di origini indiane rappresentato nella tv americana. Dal 2016 a oggi è stato prima sempre più messo da parte, poi è finito nel cimitero dei personaggi dei cartoni.

 

Apu è un personaggio stereotipato e quasi immobile, non cambia e non si evolve. È un degnissimo rappresentante di quello che per oltre un decennio sono stati i Simpson. Un cartone animato pensato per un pubblico adolescente e adulto pieno di personaggi stereotipati, quasi immobili, che non cambiano e non si evolvono. Sono uno stereotipo i bianchi, i neri, gli asiatici, i nativi americani. E Apu. È dietro a questo ammasso di stereotipi che sta la capacità dei Simpson di far ridere tutto il mondo.

 

Il cuoco e gestore del ristorante italiano di Springfield Luigi Risotto, così come il mafioso Tony Ciccione, sono due stereotipi degli italoamericani: solo la rappresentazione disegnata dei peggio pregiudizi sugli italiani d’America, tutti mafia, pizza e mandolino. La comunità italiana a volte ha mugugato, poi ha capito che "amen, alla fine sono i Simpson", disse John Turturro. 

 

I Simpson sono stati dal loro debutto questo: capacità di non avere pregiudizi su chi prendere in giro. Prendere o lasciare. Per anni nessuno si è sognato di non prendere. Dai ricchi avidi, ai ciccioni, dalle minoranze etniche a quelle religiose, sino all’americano medio del Tennessee o del Montana o dell’Ohio o al fighetto newyorkese o al fricchettone californiano, nessuno è stato immune alla presa in giro. Una presa in giro che aveva sì qualcosa di satirico, ma che è sempre stata più legata alla comica, “a una forma di comica che in America ancora non si faceva, molto europea, di quelle che si vedeva già a inizio Novecento in Francia. Una forma di comicità molto dada, non sempre feroce, non sempre cattiva, ma capace di stanare l’aspetto ilare della realtà”, disse nel 2014 Terry Gilliam, ex Monty Python, all’NBC, sottolineando come i Simpson non sono mai stati davvero politicamente scorretti, sono sempre stati acidi e basta, "perché si può mica edulcorare la comicità".

  

I Simpson nel tempo hanno perso un po’ questa loro capacità di fregarsene dei commenti, hanno inserito dosi sempre più massicce di moralismo, hanno perso acidità, sono rimasti sempre però più o meno fedeli alla linea, quella che il loro creatore Matt Groening sintetizzò oltre un ventennio fa: “L’importante è far girare le balle a qualche benpensante”. Parole che suonano lontane e stonate ora che i benpensanti sono sempre più interessati a dimostrarsi, almeno a parole, inclusivi nei confronti di tutti. L’attenzione a non ironizzare su questo e su quest’altro ha reso sempre più innocua la comicità, la sta trasformando. È un cambiamento progressivo e, almeno sembra, inarrestabile. La graduale e inesorabile sparizione di Apu ne è la prova. Si sta incanalando la comicità dentro recinti sempre più piccoli, in riserve i cui confini sono tracciati dal tono della voce di chi si sente “offeso” in un modo o nell’altro.

 

L'attore François Cluzet, nel 2018, parlando di Quasi amici, la commedia francese che racconta la storia di un badante nero e un ricco tetraplegico piena di battute non del tutto "corrette" sulle persone in sedia a rotelle, disse che "la fortuna di quel film è che i disabili hanno ancora il senso dell'ironia, perché altrimenti in questo processo di revisione dell'ilarità pure Quasi Amici sarebbe finito sulla gogna mediatica".

 

Davvero si può ridere solo di chi non grida a causa di una presunta mancanza di rispetto?

Di più su questi argomenti: