Pasolini e Pedriali, un amore eterno

Il regista ritratto dal fotografo nelle immagini in mostra a Roma presso la Rhinoceros Gallery. Il curatore Raffaele Curi: “Un vero e proprio testamento del corpo”

Giuseppe Fantasia

Roma. Questa è la storia di un amore che – come si sa – soprattutto quando è vero e autentico, può assumere varie forme che vanno al di là della sessualità e sensualità, creando luoghi e spazi nella mente che appartengono solo alle due persone che lo vivono o lo hanno vissuto, poco importa se tra luci ed ombre, non detti e timori, segreti e bugie, pericoli e minacce, crolli e risalite, dubbi e incertezze. Un amore, quello tra Pier Paolo Pasolini e Dino Prediali, che non è stato vissuto più di tanto, perché non c’è stato il tempo.

 

Nel 1975 Dino Pedriali aveva solo 25 anni. Era giovanissimo e bellissimo, ma non aveva ancora molta esperienza per quello che poi diventò il suo mestiere: la fotografia. Aveva fatto l’assistente di Man Ray, questo è vero, ma la svolta, chiamiamola così, la fece proprio grazie a Pier Paolo Pasolini, che lo scelse per realizzare le foto di quello che sarebbe divenuto il suo libro-testamento, “Petrolio”, un’enciclopedia del racconto che comprende tutti i registri, bassi e alti, della sua scrittura tra appunti, annotazioni, una lettera a Moravia, una disperata archeologia umana, un’esplorazione dei misteri della sessualità accanto a uno spaccato dell'Italia del boom tra oscuri complotti di potere e stragi di Stato rimaste impunite. Un libro che Pasolini, come le foto realizzate da Pedriali, non riuscì mai a vedere pubblicato (uscirà, con fedeltà all’autografo, solo nel 1992), perché, come si sa, venne ucciso il 2 novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia. Un delitto italiano che ha ispirato altri libri, documentari e film, un caso non risolto su cui permangono ancora troppi e tanti misteri. “Non è stato un delitto politico”, disse il fotografo, oggi settantenne, in una puntata di Storie Maledette intervistato da Franca Leosini. “Sono convinto che sia stato un omicidio maturato nell’ambiente della prostituzione maschile: è un omicidio che nasce lì, dal branco, e con la politica non ha nulla a che fare”.

 

 

“Con lui non avrei fatto sesso, ma soltanto l’amore”, ha detto Pedriali. “Mi ero innamorato di Pasolini, ma non ho mai avuto modo di poterlo esprimere”. Il problema, dunque, come già detto, è che non c’è stato il tempo, quello necessario per far nascere quel sentimento e poterlo vivere appieno nonostante la differenza di età, di cultura e di esperienze. Pochi giorni prima di morire, Pasolini e Pedriali, P&P – un duo che se fosse continuato ancora oggi avrebbe anticipato tanti loghi e mode della moda – passarono diverso tempo nella casa dello scrittore/poeta a Sabaudia e poi nella sua amatissima villetta a Chia, nel viterbese, quella dove si ritirava con sé stesso per scrivere. Dino lo segue ovunque, diventa la sua ombra presente, ma invisibile e lo spia in ogni momento della giornata. Eccolo che lo ritrae mentre pensa, dorme o legge; eccolo che ce lo mostra con le sue macchine, la mitica Giulietta grigia e l’altrettanto mitica Lettera 22 usata per scrivere; eccolo in jeans e camicia e poi in primo piano, con gli occhiali da sole neri o senza. Immagini che sono diventate iconiche come l’uomo che raffigurano. Ma c’è di più. Pedriali lo spia anche dalla finestra di quella casa con grandi vetrate sul giardino: resta fuori e lo immortala mentre si spoglia e resta nudo con il sesso in evidenza mentre legge o sistema degli oggetti, da solo, con sé stesso nella sua intimità in cui a spiccare è il suo corpo tonico di Pasolini che allora, secondo Arbasino, “aveva il tormento di invecchiare”.

 

In realtà, Pedriali conferma, non era proprio così. È vero che per PPP il corpo era un qualcosa di assoluto che faceva parte della sua storia, come è vero che con la sua bellezza dimostrava una forma di immortalità, ma in lui non c’era affatto il tormento del declino. “In quei giorni notai la solitudine profonda che lo avvolgeva e dilaniava”, ha spiegato Pedriali, “vidi un uomo abbandonato a sé stesso, una cosa che non avevo mai visto in nessun altro. Sul ponte di Sabaudia mi disse: guarda questo orizzonte. Sembra un panorama del terzo mondo. Nemmeno lì c’è più posto per me, nessuno mi vuole più. Una frase scioccante che all’epoca non capii”. Dal Circeo, dunque, alla campagna del viterbese per l’ultima sera insieme. La notte dopo, il corpo di Pasolini fu ritrovato massacrato all’idroscalo di Ostia. “Tra di noi – ha detto Pedriali – resterà un legame eterno”.

 

Quel che resta è il ricordo indelebile che fa male ogni volta che torna in mente e poi le foto. Centodieci di quegli scatti in bianco e nero sono oggi esposti anche a Roma (dopo esser già stati, tra gli altri, alla Triennale di Milano) alla Rhinoceros Gallery la cui proposta artistica è ispirata dalla Fondazione Alda Fendi “Esperimenti”. “Scatti che sono tra le cose più importanti della mia collezione”, ha spiegato al Foglio Alda Fendi, che in questi giorni ha ricevuto da Macron la legion d’onore. “Quello di Pasolini è un nome forse oggi troppo dimenticato in atmosfere plumbee e asettiche, sottilmente variegate di un’Italia che si arrende e partecipa ad un disamore epidemico ed irrisolto. Tutti vorremmo che fosse ancora tra noi come castigatore virile e incandescente di un popolo ormai senza occasioni di riscatto, afflitto da un endemico non ritorno”.

 

La mostra, intitolata “Ti impediranno di splendere. E tu splendi invece” – titolo che omaggia un episodio di Pasolini giornalista che sul Corriere della Sera del primo febbraio 1975 paragonò la scomparsa delle lucciole nelle città allo svuotamento intellettuale dell’assetto moderno in Italia – si sviluppa come un climax ascendente su tutti i piani dell’edificio realizzato da Jean Nouvel con entrata in via dei Cerchi e quel che avrete modo di ammirare sono quelle foto che sono un vero e proprio “testamento del corpo”, come l’ha definito il curatore Raffaele Curi, una preziosa testimonianza della vita e dell’opera del grande intellettuale e poeta, che appare qui immerso nella scrittura, nella creazione delle sue opere, con accanto il manoscritto delle Lettere luterane, da cui è tratto il titolo della mostra, ma, appunto, anche nudo in un nucleo di quindici immagini.

 

Ad accogliervi, c’è la sua voce, il brano musicale interpretato da Domenico Modugno e inserito in Uccellacci e uccellini, Giovanna Marini e il suo Lamento per la morte di Pasolini, Alberto Moravia con l’orazione Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e – ancora – Ninetto Davoli, Eduardo De Filippo, Totò ed Enzo Siciliano. Da non perdere, poi, nella sala accanto all’ingresso, al piano terra, in un ambiente completamente nero, su una parete, la poesia di Pasolini Supplica a mia madre, del 1962 (inserita nella prima edizione del libro Poesie in forma di rosa, 1964) e nella sala successiva, la sua traduzione in inglese.  Se potete, prendete le scale e non l’ascensore che, seppur scenografico, non vi permetterà di vedere la proiezione di Edipo re del 1967, le foto di Carmelo Bene, Franco Citti, Silvana Mangano, Alida Valli e Ninetto Davoli – tutti a lui legatissimi per diversi motivi – e poi il documentario in due parti Pier Paolo Pasolini. Un poeta scomodo, lo stesso di cui ascoltiamo l’audio in tutto il palazzo fino alle terrazze dove lo spettacolo di Roma si aggiunge a tutto il resto. Una sensazione che fa pensare davvero a questa mostra – come ci ha detto Curi – come “ad una semplice gioia infantile”. Da quell’altezza, le lucciole che vagano nei campi di grano pronti per il raccolto non si vedono, ma nella mente e nell’animo resta lui, Pasolini, una luce per molti, il vate italiano che come tutti i veri artisti ha saputo rischiare diventando metafora tra storia e i suoi azzardi.

 


 

La mostra sarà aperta al pubblico fino al 20 settembre, a martedì a domenica, dalle 11 alle 23. Ingresso gratuito. Per info e prenotazioni: (+39) 340 6430435. Via dei Cerchi 21 [email protected]

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