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Basta con gli psicospecialisti da megafono che ci danno colpetti sulla spalla

Alfonso Berardinelli

Non sono pochi gli psicanalisti, gli psicologi che sembrano culturalmente delle caricature. L’obbligo di “pensare positivo” anche di fronte alle bare

La psicanalisi è la malattia che crede di curare. Questa frase non l’ho inventata io, è di Karl Kraus e come spesso succede a questo scrittore è ritenuta ingiusta, esagerata, sbagliata. Si può in parte concordare con chi critica la critica che Kraus rivolgeva a una delle discipline, delle teorie, delle pratiche culturali che nel secolo scorso hanno avuto più successo. Partendo dalla Vienna capitale austro-ungarica, la psicanalisi arrivò perfino negli Stati Uniti e li ha quasi conquistati: dico per prudenza “quasi” perché l’autocoscienza fiera e salda dell’uomo americano non è stata in generale molto scossa dalla scienza dell’inconscio.

  

Kraus colpì fulmineamente la psicanalisi al suo nascere: non ne aveva ancora sotto gli occhi l’espansione e gli effetti sull’intera cultura occidentale, alta, media e infine anche bassa. Colpiva la psicanalisi e la liquidava quando era ancora nelle mani del suo grande creatore Sigmund Freud, con la cui intelligenza e genialità scientifica Kraus fu certo ingiusto. Stando al suo giudizio, infatti, Freud sarebbe stato il più nevrotico di tutti, non in quanto signor Freud, ma in quanto dottor Freud, in quanto scienziato, teorico, terapeuta.

  

Già, Kraus esagera sempre. Riconobbe lui stesso che le sue verità aforistiche erano o una mezza verità o una verità e mezza. In questo caso, come in parecchi altri, Kraus era sia piuttosto ingiusto che piuttosto preveggente. E’ stato detto da molti che in lui convivevano il dandy e il profeta biblico.

  

Mi viene in mente questo in questi giorni, quando fra tv e radio le voci di psicanalisti, psicologi, psicoterapeuti di vario tipo si fanno sentire. Qualunque cosa dicano, ne dicono e vogliono dirne soprattutto una, ci consigliano, ci prescrivono con paternale, istituzionale competenza che dobbiamo reagire allo stato di pandemia evitando emozioni, stati d’animo e pensieri sbagliati, negativi, pericolosi, nocivi a noi stessi e agli altri. Sembra che loro sappiano qual è la condizione interiore normale o meglio giusta in una situazione anormale e spaventosa. Lo sanno? Come fanno a saperlo? Certo, hanno studiato molti casi clinici. Ma tutti abbiamo più o meno studiato e ognuno di noi è anche un caso clinico almeno parzialmente consapevole. Quando si fa un’esperienza nuova e sorprendentemente negativa è bene, secondo loro, sapere in anticipo come viverla nel modo più corretto, più sano, più utile.

  

Ma che cos’è un’esperienza, che cosa sono le esperienze reali? Non sono forse proprio ciò che non ci aspettavamo di vivere e non avevamo già imparato come vivere? E’ nevrotico il senso di colpa di chi non ha colpa, non quello di chi ne ha. E’ nevrotica la paura di chi teme pericoli oscuri, indefiniti, irreali, non la paura di cose che fanno paura, una paura ovvia a chiunque. E’ facile ragionare così, direte voi, ma c’è gente che ha bisogno di aiuto, conforto, incoraggiamento. Certo. Ma bisogna vedere con che argomenti. L’argomento patriottico mi sembra penoso: “Dimostriamo di essere un grande paese, dimostriamo di essere un modello per gli altri”. Anche quella brava persona del presidente Mattarella, un miracolo di decenza pubblica, si è lasciato credere che la fierezza di avere una nazionalità invece che un’altra generi un incremento di moralità e di coraggio. Ma non siamo in guerra o in competizione con altre nazioni, siamo in lotta con una minaccia naturale all’intero genere umano. La fierezza di cui possiamo avere bisogno in questo momento è più universale e riguarda l’animale culturale umano, in tutte le sue straordinarie varianti continentali (certo, come europei “uniti” non possiamo essere fieri di una unità di cui siamo incapaci).

  

Torno al punto, gli specialisti della psiche o anima. Quello che Kraus affermava quando si trovò di fronte il più potente dei rivali nella critica della civiltà, Freud e allievi, era una reazione come sempre paradossale e fulminea: vedeva troppo in anticipo gli effetti futuri di una causa presente, il possibile declino culturale che sembrava implicito in quella nuovissima scienza dell’uomo. E Kraus alle scienze dell’uomo non credeva: per lui, oltre Shakespeare non si era mai andati. Gli allievi di Freud, allora, erano però di poco meno geniali di lui: Alfred Adler, Carl G. Jung, Sándor Ferenczi, Wilhelm Reich, Theodor Reik, Karl Abraham, Franz Alexander… Inoltre Freud era un lettore regolare di Kraus, il quale però non sopportava soprattutto una cosa, che si applicasse la psicanalisi agli scrittori e alle opere letterarie.

  

Ma oggi? Non sono pochi gli psicanalisti, gli psicologi che sembrano culturalmente delle caricature. Devo fare nomi? No, non li faccio. Nessuno è più permaloso di uno psicospecialista. Sono spesso dei seduttori abituati a non essere contraddetti, dato che considerano la psiche di chiunque altro una cosa di loro competenza. Quella che circola nei media di massa è perciò una psicanalisi che oscilla fra l’esoterico per pochi eletti (la matrice è Lacan) e il “costruttivo” (nato dal trapianto di Freud in America). In tempi di pandemia non può che dominare il “costruttivo”. E quando si deve incoraggiare un’intera popolazione, bisogna semplificare. Quando però si semplifica e si psicologizza a distanza senza avere di fronte casi singoli, la banalità è fatale, anzi sembra d’obbligo. E’ così che gli psicospecialisti da megafono ci trattano tutti da spiriti fragili a cui dare dei colpetti sulla spalla, come se di fronte al numero di bare che escono dagli ospedali non si dovesse mai smettere di “pensare positivo”. Credo che invece vada difesa la libertà di pensiero e di stato d’animo. Altro che psicologia, per pensare positivo bisogna credere che la cosa più reale in noi sia l’anima immortale.