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Woody Allen e i paradossi del MeToo

Micol Flammini

A pubblicare il memoir del regista vuol pensarci la Russia “per libertà di parola”

Woody Allen arriverà in Italia, se non lui, sicuramente il suo libro che uscirà il 9 aprile per La Nave di Teseo. Il memoir del regista newyorkese, in italiano “A proposito di niente”, che in copertina ha i suoi occhiali e il giallo delle pareti di tanti appartamenti dei suoi film, è finito nel bel mezzo di due disastri del nostro tempo. Nel bel mezzo di una bega familiare in una famiglia di famosi (e chi non era famoso ha usato la bega per diventarlo) e del #MeToo. Il movimento culminato con la condanna a 23 anni di carcere del produttore Harvey Weinstein, incriminato per violenza sessuale di primo grado e stupro di terzo grado. Il #MeToo ha prodotto le sue eroine, i suoi riti, i suoi iter burocratici, ma ha prodotto soprattutto i suoi mostri, veri o presunti, e tra questi ultimi è caduto anche Woody Allen.

 

Il regista è stato accusato da sua figlia Dylan di abusi, è stato indagato ma mai incriminato. Tuttavia la casa editrice Hachette, che avrebbe dovuto pubblicare il memoir di Allen negli Stati Uniti, ha interrotto il contratto. Non perché il libro non fosse all’altezza, non perché il regista nel frattempo sia risultato colpevole di qualcosa. Ma perché Ronan, fratello di Dylan e figlio di Woody Allen e dell’attrice Mia Farrow, ha minacciato la casa editrice di interrompere tutti i rapporti – Ronan ha pubblicato con Hachette un libro dal titolo “Catch and Kill”, uno dei libri nati dal #MeToo e che cerca di svelare come Weinstein abbia tentato di insabbiare le accuse. Il ragazzo è un giornalista, ha preso il cognome della madre e nel 2018 ha vinto il premio Pulitzer per un articolo investigativo pubblicato sul New Yorker sempre sugli abusi del produttore. Del #MeToo è un simbolo, un paladino e la casa editrice, dovendo scegliere tra il padre e il figlio, ha scelto il figlio. Il memoir del regista quindi non trova una pubblicazione negli Stati Uniti.

 

Di questo trambusto se ne sono accorti tutti, anche i russi. La direttrice di RT, l’emittente finanziata dal Cremlino per raccontare il mondo a modo suo, mercoledì ha scritto su Facebook che lei sarebbe lieta di poter pubblicare il libro del grande regista americano. “Pubblicheremo il tuo libro, se vorrai, perché noi crediamo che nessuna storia debba essere messa a tacere e che tutti abbiano diritto a un giusto processo”. Soprattutto in questo momento di grande confusione, e anche emergenza internazionale, la Russia sta trovando il suo spazio in questo mondo sottosopra. Ha già scatenato un crollo sui mercati la scorsa settimana mettendosi a gareggiare con l’Arabia Saudita sui prezzi del petrolio e poi ha cercato di provocare una nuova crisi migratoria usando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e la sua disponibilità a farsi usare per infastidire l’Unione europea. La proposta di Margarita Simonyan, direttrice di RT dai suoi esordi, è stata fondata nel 2005, ha spostato il caos su un altro livello: quello culturale. Ha scritto: “Pubblicheremo il tuo libro perché noi non sosteniamo le liste nere e il linciaggio su Twitter. Pubblicheremo il tuo libro perché non sei stato giudicato colpevole di nessun crimine dalla legge, ma questo non è stato tenuto in conto”. Il #MeToo di cortocircuiti ne ha creati molti, ma uno così paradossale forse mai: sta regalando Woody Allen alla propaganda russa. RT è stata rapidissima ad approfittarne, la possibilità di difendere uno dei simboli dell’americanità, boicottato da un movimento che più americano non si può non è un’occasione che capita spesso.

 

Woody Allen non si è espresso, forse riterrebbe divertente lasciar pubblicare il memoir all’emittente del Cremlino, forse il movimento del #MeToo, ingarbugliato in tutti i suoi paradossi, non si accorgerebbe neppure di aver offerto alla Russia una grande opportunità di dimostrarsi paladina della libertà di espressione. Mosca ha tutto da guadagnare e sa come farlo, soprattutto in questi tempi in cui siamo tutti un po’ distratti.

 

Sarebbe la seconda grande esperienza russa, a noi nota, di Woody Allen, che nel 1975 uscì con il film “Amore e Guerra”, un modo à la Allen di dire “Guerra e Pace”. Un’opera piena di bellissimi nonsense e che inizia con un monologo che il regista potrebbe riproporre oggi, quarantacinque anni dopo, non nei panni di Boris ma in quelli di Woody: “Come mi sono messo in questa situazione non lo capirò mai, assolutamente incredibile, essere giustiziato per un crimine che non ho mai commesso, ma in fondo siamo tutti su una stessa barca, non è così per tutta l’umanità? Tutti alla fine vengono giustiziati per un crimine che non hanno mai commesso, la differenza è che nessuno sa precisamente quando se ne va, io lo so. Dovevo andarmene alle cinque, invece me ne andrò alle sei perché ho un avvocato molto bravo”.

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