Brancusi giù dal piedistallo

Francesco Stocchi

Sculture su basi di vetro, come oggetti sospesi nello spazio. Un grande del Novecento, incline a tutt’altri materiali, ridotto a designer. A Bruxelles una mostra sbagliata

Ci sono mostre che per chiarezza di intenti, capacità narrativa e studio scientifico, riescono a offrire un contesto che prevalga sulla qualità delle opere esposte, dove quindi il risultato è maggiore della somma di tutte le sue unità. Ci sono anche mostre effetto “fumo negli occhi”, strutturate intorno a un esiguo numero di opere di artisti riconosciuti dal grande pubblico che vengono usate da traino per il restante 95 per cento dell’esposizione. Si riconoscono spesso con la proposizione “da” usata a introdurre il titolo, al fine di offrire l’idea dello studio di un intervallo storico, rivelandosi illusoria e priva di un interesse reale. “Da Van Gogh a Picasso” è tra i più comuni, oppure “Da Monet a Matisse”. Vanno molto nelle grandi province del nord-est Italia, mostre caratterizzate da una forte comunicazione e strategie di marketing che occupano gran parte del budget. Mi preme però portare l’attenzione verso una terza categoria di mostre, quelle composte quasi esclusivamente da capolavori, ma incapaci di gestire tanta ricchezza finiscono per risultare ininteressanti e fallaci, tradendo la voce dell’artista esposto. Sono mostre rare sicuramente e spesso sostenute per forza di cose da budget così importanti che danno l’illusione di poter fare ciò che vuoi, portandoti a dimenticare cosa tu stia realmente facendo, finendo per semplificare l’opera dell’artista esposto, racchiudendola proprio in quegli stereotipi che chi visita una mostra desidera sfatare. Sono però a loro modo preziose come molte delle cose rare, rappresentando una didattica di ciò che non si dovrebbe fare, risultando quindi di grande utilità nell’esposizione di errori che a volte si manifestano in orrori. È il caso di “Brancusi” presso il BOZAR/Palais des Beaux-Arts di Bruxelles (fino al 2 febbraio). La mostra è organizzata da Europalia Romania, dove il classico museo belga diventa contenitore che ospita l’organizzazione nomade rumena, la cui missione è quella di promuovere in Europa la cultura e storia nazionale. 


Un artista che è stato il primo ad aver concepito in modo sistematico il concetto di basi per le sue sculture come parte integrante dell’opera


 

Brancusi è considerato uno dei cinque artisti fondamentali del Novecento, ma se si parla di scultura è sicuramente la figura più influente, capace di sradicarla dalla stanca maniera ottocentesca, portandola nell’epoca moderna, rinnovandola e liberandola dalla condanna realista alla quale era rimasta schiacciata. Il talento di Costantin Brancusi lo fa arrivare giovane a Parigi direttamente dal povero meridione contadino della Romania. Si trova così presto ad assistere Auguste Rodin nel suo studio, l’artista più celebrato del suo tempo. L’artista francese realizza di lì a breve una scultura di due giovani che si baciano. Brancusi risponde con la sua versione di bacio ma mentre l’opera di Rodin mostra due innamorati seduti su una roccia, nella versione di Brancusi gli innamorati sono la roccia, che non può che esistere in un tempo o in uno spazio particolari diversi dal proprio.

 

È il primo passo di svolta antinaturalistica. Malgrado la necessità di un salario, la sua ambizione che si rivelerà vocazione, Brancusi decide di andarsene in un gesto che esprime tutta la sua necessità di indipendenza dal maestro come dalla tradizione della scultura definendola “nient’altro che muscoli, bistecche, bistecche e bistecche” Ciò che vuole esprimere è l’essenza delle cose rispetto alla rappresentazione più o meno aderente di ciò che ci pare di avere di fronte. Per ottenere l’essenza di forme si affida al metodo classico (ormai da secoli abbandonato in scultura) del taglio diretto, intraprendendo una rivoluzione senza precedenti. Si torna al passato. Non quello prossimo neoclassico o rinascimentale bensì quello ancestrale di antica memoria. Brancusi rappresenta animali ma anche persone, anzi solo quelle donne che visitavano il suo atelier divenuto negli anni luogo di rappresentazione del creato in una sospensione cosmica dove regnava il silenzio dell’eterno (una fedele ricostruzione dell’atelier è presente in forma permanente di fronte al Museo Pompidou in un edificio disegnato da Renzo Piano). Le forme delle sue opere rappresentano quindi lo slancio eterno di un uccello, la forma cessa di rappresentare un uccello osservato in natura, diventando ciò che caratterizza l’uccello, cioè il volo. Così come il pesce che nuota e la musa che dorme. L’artista si avvale di marmo, pietra, legno e bronzo a seconda dei soggetti per rappresentare figure che esprimono il sonno, la timidezza, la noia, etc. 


Ha sradicato la scultura dalla stanca maniera ottocentesca, l’ha portata nell’epoca moderna liberandola dalla condanna realista 


Le forme di Brancusi sono smussate, l’angolo ottagonale non appartiene al suo linguaggio. Forme figurative che per tendere all’essenza appaiono astratte perché è tutto un lavoro in sottrazione. Scavare per arrivare al nocciolo. L’insidia che offrono le sue sculture è quella di sembrare eleganti, cioè elementi di arredo che non disturbano, confondendosi piacevolmente con il contesto scelto per loro. Questa è la prima, manifesta lettura che l’allestimento della mostra ci offre: illuminazione enfatica su sculture sorrette da basi in vetro trasparente. Scelta che trasforma Brancusi in un designer che potremmo vedere esposto a rue Saint-Honoré a Parigi. Il vetro, materiale che mai decide di usare l’artista, non incline ai manufatti e tantomeno alle sue trasparenze perché interessato a ricercare un forma essenziale che consentisse di sprigionare la tensione e l’energia della materia. Con materiali derivati questo non può avvenire. Questa scelta sbagliata diviene scellerata nelle intenzioni: voler dare l’impressione attraverso l’uso del vetro che le sculture fluttuino nello spazio, come oggetti sospesi. Niente di più erroneo. L’elevazione che esprime Brancusi è radicata su basi solide di pietra oppure di quercia tagliate geometricamente che seguendo un movimento ascendentale iniziano a presentare progressivamente forme morbide, smussate. La materia cambia e si trasforma in marmo bianco oppure nero oppure in bronzo così lucido da scintillare, e la scultura inizia a prendere il volo. L’uccello nello spazio si eleva come un razzo che da Cape Canaveral rilascia tutta l’energia necessaria per staccarsi dalla terra, rispetto a un razzo che nello spazio che a noi sembra fluttuare inerme in una direzione imprecisa. La scelta del vetro è tanto più incomprensibile per non dire irrispettosa nei confronti di un artista che è stato il primo ad aver concepito in modo sistematico il concetto di basi per le sue sculture come parte integrante dell’opera. Brancusi era solito intercambiare gli elementi costitutivi delle sue basi, fotografandoli per poi compararne le differenze e conferir loro di volta in volta diversa dinamicità, o maggior peso specifico. Ricordo una mostra a Parigi nel 1995 presso il Centre Pompidou, un’ampia retrospettiva organizzata dal museo che custodisce il nucleo più importante delle sue opere. I curatori avevano proposto degli inediti cambiamenti di basi rispetto alle scelte dell’artista difendendo la loro scelta con il pensiero modulare e le varie soluzioni espressive che l’artista stesso aveva proposto. Ricordo aspre critiche per aver osato interferire nelle scelte dell’artista proponendone di nuove. Critiche comprensibili secondo una rigida lettura dell’opera di Brancusi ma irrisorie rispetto a quanto viene proposto a Bruxelles, dove si finisce per trasformare l’oggetto scultorio in bel soprammobile da vetrina. Il problema è che l’opera rimane in sé unica, straordinaria. Brancusi è raro vederlo e Brancusi piace a molti, quasi a tutti. La mostra diviene quindi colpevole di diseducare alla comprensione dell’artista. Tutto finisce per ridursi a un fatto estetico certificato dal post su Instagram.

 

Nella selezione di opere esposte mancano peraltro quelle sculture essenziali per offrire una lettura esaustiva dell’artista. Assenti i temi della Colonna senza fine e dell’Uccello nello spazio, sui quali Brancusi lavorò ripetutamente nel corso della sua vita. La seconda opera, in particolare, nel 1929 fu oggetto di un processo-scandalo negli Stati Uniti. Considerata dalla dogana come pezzo di bronzo e non opera d’arte, quindi soggetta a dazi, contribuì a un dibattito acceso nelle aule di tribunale come nei giornali dell’epoca: è questa arte? Questa forma di bronzo lucido rappresenta o meno un uccello che vola? Novant’anni dopo i problemi sono meno manifesti ma fondamentalmente gli stessi.

 

Ciò che la mostra offre di interessante è una ricca sezione didattica. Ampi spazi dedicati allo studio di Brancusi attraverso il fare. Quaderni da riempire disegnando e colorando, dispositivi volti all’apprendimento in gruppo con le scuole, per imparare lo studio di forme, imparare a guardare ed eliminare il superfluo. D’altronde Brancusi ammoniva che “sculpture n’est pas pour les jeune hommes”. Le mostre di scultura nemmeno.

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