Il tempo senza tempo di Mapplethorpe

A Roma le immagini del fotografo “mimetizzate” tra le opere presenti nella Galleria Corsini. Una celebrazione della sua arte e della sua passione per il collezionismo a trent'anni dalla morte

Giuseppe Fantasia

Con le sue immagini, vere e proprie opere d’arte tout court prima ancora di esser fotografie, Robert Mapplethorpe ha rivoluzionato a suo modo il pensiero della fine del Novecento e, con il rigore del bianco e nero, ha esplorato l’universo del desiderio con tutte le sue contraddizioni. I ritratti che ci ha lasciato, dai fiori ai nudi, quasi sempre provocatori, hanno svelato la latenza erotica degli oggetti e hanno conferito dignità estetica alla cultura gay, a una dimensione inconfessata dell’intimità con continui e sofisticati richiami alla storia dell’arte, capaci di evocare archetipi e soggetti universali. Fotografie, le sue, che sono state messe più volte a confronto con opere dei grandi artisti del passato, da Michelangelo a Goltzius fino a Rodin. E proprio questo legame tra presente e passato è al centro della mostra “L’obiettivo sensibile”, inaugurata lo scorso 15 marzo alla Galleria Corsini nel cuore di Trastevere, che celebra il fotografo nel trentesimo anniversario della morte (9 marzo 1989).

 

 

La curatrice Flaminia Gennari Santori, già direttrice da tre anni delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini, è partita proprio dall’ossessione che aveva Mapplethorpe per il collezionismo sfrenato e a ogni costo che lo portava a mettere insieme, in una stessa stanza, decine e decine di fotografie, soprattutto storiche (una passione che condivideva con il compagno Sam Wagstaff), ma anche stampe, disegni, sculture e arredi, creando così un ambiente unico, un mix di volti, luoghi, oggetti e colori capace di trovare sempre un suo ordine e significato, un po’ come accade in quella splendida e scenografica quadreria settecentesca romana. I suoi ritratti più celebri, a cominciare dal suo che vi darà il benvenuto nella prima stanza, assieme alle figure e ai rari paesaggi che oggi costituiscono un fondo straordinario del dipartimento di fotografia del Getty Museum di Los Angeles, visti assieme alle opere presenti nella galleria romana – tutta da scoprire se non l’avete ancora mai visitata - innescano una relazione inedita tra i visitatori, le opere e gli ambienti stessi.

 

“Mapplethorpe – ricorda al Foglio la curatrice – non è mai stato alla Galleria Corsini, ma senz’altro avrebbe trovato interessanti le sale ancora allestite secondo il gusto del cardinale Neri (1685 – 1770), anche lui grande collezionista e creatore di quella collezione, inquilino speciale in quell’appartamento dal 1738 alla morte”. “Nel Settecento – continua - i quadri si disponevano alle pareti secondo criteri di simmetria, euritmia e varietà compositiva e stimolavano il visitatore ad individuare assonanze e differenze tra le opere, addestrandone lo sguardo e quelli sono gli stessi tre principi che hanno guidato l’obiettivo di Mapplethorpe nel corso di tutta la sua carriera”. L’innesto delle sue fotografie, magneti in bianco e nero impreziosite dal tessuto colorato di quadri a ricoprire le pareti, “è un invito ad esplorare la galleria con la predisposizione di un conoscitore del Settecento, alla ricerca di assonanze, simmetrie e differenze”.

 

Sono più di quaranta le fotografie esposte, alcune delle quali quasi mimetizzate tra una scultura o un olio su tela, dall’Anticamera – dove Winter Landscape, un raro paesaggio del 1979, è esposto sotto Paesaggio con Rinaldo e Armida di Gaspard Dughet – alla Prima Galleria dove – come ci fa notare la Gennari Santori durante la visita in anteprima – già emergono le risonanze della poetica dell’artista con il luogo. Con Ken and Lydia and Tyler (1985) e Self Portrait (1988) viene messa in luce la rielaborazione in chiave contemporanea dell’equilibrio del tema classico delle Tre Grazie della prima fotografia, in contrapposizione alla brutale onestà dell’autoritratto del 1988, dove Mapplethorpe, consapevole della morte imminente, guarda dall’oscurità con un gesto vigoroso e antico. Allo stesso tempo, fotografie come Italian Devil (1988) evidenziano la passione dell’artista per il collezionismo e la sua raccolta di sculture di satiri o la serie delle quattro stampe di Ajitto (1981) esaltano alcune opere della Galleria che solitamente sfuggono all’attenzione, ad esempio i due piccoli bronzi sistemati sulle consolle settecentesche.

 

Imperdibile, il ritratto di donna dei primi anni Ottanta, Puerto Rico, Woman, nella Galleria del Cardinale, che quasi si specchia nel cinquecentesco Ritratto di vecchia di un seguace di Jan Van Scorel, un po’ come Harry Lunn (1976) fa con il ritratto di Alessandro Allori al cardinale Ferdinando de’ Medici nel vicino Gabinetto Verde.

Marcus Leatherdale di Mapplethorpe, in dialogo con i bronzetti di Adone e Diana Caccatrice di Antonio Montauti, diventa un personaggio ovidiano di ritorno dalla caccia nella Camera del Caminio, detta anche Sala del Trono Corsini, dove troverete anche Samia (1978) e Catherine Olim (1982) a fiancheggiare una delle opere simbolo della collezione, Salomè con la testa del Battista di Guido Reni, e la splendida Testa di vecchio di Rubens. Il noto ritratto del 1976 di Holly Solomon è esposto nella Sala Rossa come anche quello di Carol Overby del 1979, accanto a sequenze di fotografie dedicate ai temi della scultura classica, della ricerca della geometria nella luce, ed a immagini raramente esposte.

 

Se volete rendervi conto della grande assonanza tra le sue fotografie e alcune opere del Seicento, una tappa obbligata è la Sala Verde dove accanto al San Giovanni Battista di Caravaggio e alla Venere e Adone di Jusepe de Ribera, troverete Black Bust e Apollo, entrambe del 1988, immagini nelle quali l’artista coglie – come scrive la curatrice nella brochure (peccato non sia stato fatto un catalogo), “l’equilibrio perfetto tra luce e ombra, durezza e morbidezza”. Ultimo, ma non ultimo, dopo le stanze con i fiori e i nudi maschili – perfetti, provocatori e decisamente fuori dal comune in tutti i sensi – sarà l’Alcova di Cristina di Svezia a conquistarvi. Il suo Bernine (1978) ricorda i ritratti di Lorenzo Lotto e dei maestri lombardi del Cinquecento e il ritratto di Lisa Lyon (1981), la culturista che immortalò più di una volta, è posto in correlazione con i tre ovali di Guido Reni, la Vergine Addolorata, il Cristo coronato di spine e il San Giovanni Evangelista. “Guardo le cose come non sono state mai viste prima”, disse una volta Mapplethorpe in un’intervista e voi stessi – dopo aver visitato questa mostra in programma fino al 30 giugno prossimo ed essere ‘entrati’ nel suo speciale tempo senza tempo – vi renderete conto che il non non visto è la cosa più bella e interessante, perché “resta sempre ancora da vedere”.

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