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Ulisse subacqueo

Umberto Silva

Un fuggiasco pasticcione e la sua avventura più grande, quella che non accade

C’è qualcosa, qualcuno di molto intrigante in questa torbida estate, c’è il fuggiasco, il doppiogiochista, colui che ama le rivoluzioni volanti. Si chiama R. e sono vent’anni che lo conosco; riappare dopo avermi raccontato cosmiche analisi, dove le stelle hanno il privilegio, sparizioni e apparizioni.

 

A dire il vero sarei un po’ pensieroso, preoccupato per i suoi giochi più che magistrali maestrali, se come sempre lui non fosse da qualche parte del mondo, aldilà di se stesso ad esempio, quegli aldilà che rendono il mio aldiquà assai misero rispetto alla qualità e quantità dei suoi sterminati mari e deserti, carichi di tutto.

 

Non mi stupisco che si tuffi in pasticci, pronto a tagliare la corda in misteriosi riposi. Attendo che venga a trovarmi nel mio politico lettino, non tanto per dirmi cosa accade nel mondo quanto piuttosto per farmi presente di quel che assolutamente non accade, la qual cosa gli appare assai interessante.

 

Anni fa il nostro primo incontro fu piacevolissimo; R. si presentò facendo mille feste: “Monsieur le Professeur, quel honneur”. In quattro cinque lingue diceva di venerare le mie meraviglie e io ridevo ridevo, apprezzavo le sue trame che ritengo assai più vertiginose di altre ancor più perfide.

 

Gira sempre con un golf fucsia in pieno caldo, pretenziose scarpe in coccodrillo stanno ai suoi piedi e scuri stranissimi lacci sulla barba; mi era stato presentato come uno scultore di eccentrica qualità, e a tanti artisti serviva senza chiedere né ottenere nulla in cambio.

 

Al momento. All’apparenza. Se a uno dei suoi esigenti padroni occorreva un introvabile oggetto, R. sapeva dove sapientemente trovare; chiamava i propri ragazzi e in meno di due giorni ecco arrivare splendidi oggetti. Questo sfrenato servilismo che tale non è mi parve degno di ammirazione, sentii in lui il vero artista e sempre lo sento, una musica.

 

Quando ancor oggi passa dal mio studio, le ragazze lo guardano colpite, estasiate; si pavoneggia e nel frattempo mi racconta il suo piano. Mi confessa di nascondere le proprie opere progettando di esporle in un solo colpo: alla soglia degli ottant’anni avrebbe occupato un intero museo, soppiantando così tutti i suoi padroni, che si augura siano all’epoca ancora vivi, vivissimi, prontissimi.

 

Decrepiti, costoro presenzieranno in qualità di padrini al vernissage... per capire finalmente quale meravigliosa belva sia cresciuta alla loro ombra. R. era, ed è, un Ulisse travestito da subacqueo. In attesa della gloria, fuma covoni di erba e s’immerge nei mari di tutto il mondo. Non si sa perché, torna sempre livido. In tante mattine mi arrivano sue lettere, dalle isole Frisone, da Dundee, dal Venezuela, da Tahiti. Vi allega fotografie stampate su carta straccia, golem di alghe e immondizia arenati su spiagge desolate.

 

Si sposta per stalle; sopraffatti dalla visione del suo corpo piuttosto spiritato, entusiasti contadini scacciano gli animali e al loro posto ci piazzano lui e le sue sostanze molli di cui nessuno potrebbe conoscere l’origine. Dalle fessure spiano quel che fa; quando lo vedono infuriarsi e sbattere le crete contro il muro e prendere a calci le sedie, si guardano l’un l’altro sbalorditi e grati di assistere a una così sacra liturgia. Mi racconta tutto ciò, il che è davvero liturgico.

 

Ci sono settimane in cui R. mi scrive missive inintelligibili. “Ho preso due piccioni con una fava. Vedessi, sentivo la vita incresparmi i capillari delle mani, le vene pulsare al ritmo del tuffo d’un delfino. C’era, e c’è, l’abisso in me, e l’abuso, mi avevano preso tutto, ero loro, ero delle onde. Ho perso un dito in mezzo al mare, da solo, tra i flutti. Capisci? Poi sono arrivati i papuani. Sono pieno di vita, amico mio, pieno di vita. C’è questa capanna, straripa ”.

  

Mesi fa venne a un’analisi – era lui ad analizzarmi, a suo modo - e gli chiesi perché stava tutti i giorni e le notti nelle acque; mi rispose che non erano acque ma divinità, piscio eterno insomma, piscio degli Dei. Mi prese la mano e la baciò dicendo che, se occorreva, l’avrebbe tagliata come una scultura di Brancusi.

Grazie R., di tutto sai incidere stupendamente il segno.