Novantanove anni fa nasceva Leonardo Sciascia. La sua storia è la storia d'Italia

Letture foglianti nell'anniversario dello scrittore di Recalmuto

L'8 gennaio 1921 nasceva a Racalmuto, in provincia di Agrigento, Leonardo Sciascia, scrittore e giornalista, deputato radicale dal 1979 al 1983. Spirito libero e anticonformista, figlio di Pasquale e di Genoveffa Martorelli, è il primo di tre fratelli. La madre, casalinga, proviene da una famiglia di artigiani mentre il padre è impiegato presso una delle miniere di zolfo locali, dove ha lavorato anche il nonno. “La storia di Leonardo Sciascia è in realtà la storia d’Italia”, ha scritto Nadia Terranova sul Foglio, “e noi non sempre ce ne siamo accorti, impegnati a travisare la sua Sicilia come un insieme di fatti legati a isolitudini e isolamenti, ignorando che, attraverso la lente che i natali gli avevano messo dentro la culla, Leonardo Sciascia non ha scritto della Sicilia ma della nazione, del mondo intero”.

 

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Ma Sciascia non fu solo scrittore. “Per vent’anni, fino alla morte, oltre che fondatore, fu reinventore delle pratiche editoriali di Sellerio. 'Consulente' sarebbe come minimo riduttivo e Salvatore Silvano Nigro usa invece l’espressione corretta, 'editore in casa Sellerio', per presentare la ripubblicazione del volume Leonardo Sciascia scrittore editore ovvero La felicità di far libri. Tornato dopo sedici anni sugli scaffali, non è un semplice tracciato del lavoro di Sciascia, è la sua biografia editoriale: contiene i risvolti di copertina, le schede, le introduzioni ai brani delle antologie da lui ideate e curate. Risponde alla domanda su quanti e quali siano i suoi libri, se quelli che ha scritto, quelli che ha curato, quelli che ha scoperto, quelli che ha antologizzato, e la risposta è: tutti, pure quelli che non ha pubblicato”. 

 

Ne scrive sempre Nadia Terranova qui:

 

Nel 1978 lo scrittore pubblica L'affaire Moro sul sequestro, il processo e l'omicidio nella cosiddetta “prigione del popolo” di Aldo Moro organizzato dalle Brigate Rosse. Nel giugno del 1979 accetta la proposta dei Radicali e si candida sia al Parlamento europeo sia alla Camera. Eletto in entrambe le sedi istituzionali resta a Strasburgo solo due mesi e poi opta per Montecitorio, dove rimarrà deputato fino al 1983 per occuparsi dei lavori della Commissione d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Moro (con una forte critica rivolta alla cosiddetta “linea della fermezza”) e sul terrorismo. Sciascia scrisse L'affaire Moro a pochi mesi dagli eventi “e il testo produsse scalpore”, ricordava nella sua rubrica sul Foglio Massimo Bordin. “Oggi, passati quarant’anni e riempitesi mensole di paccottiglia complottista sull’argomento, la lettura di quel libro – che nelle sue ultime edizioni contiene in appendice anche la relazione di minoranza che Sciascia, da deputato radicale, firmò al termine della prima commissione parlamentare d’inchiesta – è una esperienza sorprendente. In quelle poco più di cento pagine c’è già tutto l’essenziale. Gli elementi più controversi sono messi in fila fornendo a essi, fin dove è possibile, una spiegazione plausibile”.

 

Qui la Bordin Line integrale:

  

È morto il 20 novembre 1989, a 68 anni, in seguito a complicazioni della grave malattia che lo affliggeva. Sulla sua tomba ha voluto che venisse inciso “qualcosa di meno personale e di più ameno, e precisamente questa frase di Villiers de l’Isle-Adam: 'Ce ne ricorderemo, di questo pianeta'. E così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano”.

 

Per il trentennale della morte, l'anno scorso, RaiPlay ha raccolto ventotto dei suoi interventi televisivi (li trovate qui). Ne ha scritto su queste colonne Guido Vitiello: “Per tutta la vita, e spesso anche da morto, Sciascia è stato accusato di 'fare il gioco' di mafiosi, brigatisti o radicali, in ordine crescente di gravità. Bene, tra i filmati dello speciale di RaiPlay troverete un’intervista al Tg2 sulla questione dei 'professionisti dell’antimafia'. Non teme, gli chiede l’intervistatrice, che la polemica possa essere strumentalizzata? 'A me non interessa chi strumentalizza le mie opinioni', risponde Sciascia, 'l’importante è che le mie opinioni siano giuste'. Potrebbe essere la definizione del coraggio intellettuale, da usare con candore di colombe e astuzia di serpenti: accettare cavallerescamente il rischio che le proprie idee siano strumentalizzate”. 

 

L'articolo completo:

   

Come ricordò Andrea Camilleri:

“Lui non si laureò mai. Riuscì ad avere un diploma per insegnare alla scuola elementare: riteneva che per un bambino, in Sicilia quegli anni fossero importantissimi e formativi, tanto da diventare una sorta di assoluto. A meno di non essere un altissimo maestro di filosofia non equivarrai mai all’importanza che ha per un bambino. Quando l’Università di Messina voleva conferirgli la laurea honoris causa, Sciascia rispose '…perché? Già maestro sugnu', e questo sottolinea l’importanza delle scuole 'vascie', basse, le scuole elementari”.

  

Indro Montanelli, con l’inimitabile stile provocatorio, ha scritto:

“Amici siciliani, tenetevelo caro, Sciascia. Non solo come scrittore, ma anche come siciliano. Nessuno lo è stato più e meglio di lui. Le accuse che gli sono state lanciate, o meglio insinuate, di eccessiva indulgenza verso la mafia sono del tutto fuori bersaglio. Sciascia non ha mai giudicato la mafia; l’ha spiegata, anche se non posso escludere che ne andasse un po’ fiero in quanto parte (e che parte!) della sua sicilianitudine, come il ficodindia lo è del suo paesaggio”.

 

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